«L’HR è al centro di una profonda spinta alla trasformazione. E questo richiede di rivedere la sua funzione: non più di solo coordinamento ma di reale supporto al business e orchestratore del cambiamento, un vero e proprio punto di connessione tra strategia, persone e tecnologia».
È questo uno dei macro-trend HR che ha delineato Gina Vargiu-Breuer, Chief People Officer (CPO) & Labor Director di SAP SE (che conta oggi circa 109mila dipendenti a livello globale, ndr.). Ho avuto il piacere di intervistarla in occasione della sua visita all’headquarter di SAP Italia a Milano – inaugurata lo scorso giugno -: non un semplice momento istituzionale, ma un momento di riflessione sulla visione condivisa e toccare in dettaglio i pillar della nuova people agenda, in un botta e risposta in cui non solo le prime linee ma tutti i dipendenti della filiale italiana hanno avuto modo di confrontarsi con la Manager.
Who's Who
Gina Vargiu-Breuer
Chief People Officer (CPO) & Labor Director di SAP SE

Indice degli argomenti
Dalla logica di “servizio” alla leadership del cambiamento
Dal punto di vista della CPO, il processo di cambiamento che coinvolge l’HR in realtà è già in atto da alcuni anni. E sono le richieste di business a dover guidare la people agenda delle aziende. «Da qui la necessità di cambiare mindset per abbracciare un paradigma che metta davvero le persone al centro, anche quando si guarda alle soluzioni tecnologiche che supportano la gestione delle risorse umane».
Un punto di vista che negli ultimi vent’anni di carriera ha accompagnato la Manager, fermamente convinta che guardare l’organizzazione dalla prospettiva giusta sia determinante. Soprattutto quando si tratta di un’evoluzione profonda, come quella che è in atto e che richiede anche un ruolo più attivo per i leader che «devono essere coinvolti direttamente nel definire le strategie di cambiamento che veicolano la trasformazione, per guidarla e non subirla. È così che si diventa veri leader e non dei follower. A patto di fornire loro gli strumenti giusti, che li mettano nelle condizioni di capire come gestire l’incertezza e navigare in un contesto altamente volatile come quello in cui viviamo oggi».
Proprio a Milano, Vargiu-Breuer ha sensibilizzato il team italiano rispetto alla necessità di abbracciare fino in fondo la “growth culture”, uscendo dalla comfort zone e assumendo la regia del cambiamento. Un messaggio strategico rafforzato anche da Augusta Spinelli (EMEA Regional President) e Carla Masperi (Amministratore Delegato di SAP Italia), che hanno ribadito la visione condivisa e la volontà di costruire una trasformazione coesa.
AI, dati e iper-personalizzazione: il nuovo volto dell’HR di fronte alla trasformazione del contesto
Tornando ai trend HR, secondo la CPO, la tecnologia è un altro aspetto su cui lavorare. «L’effetto dell’AI sull’HR sarà dirompente. Con SuccessFactors a oggi abbiamo già 170 casi d’uso, e sono destinati ad aumentare».
Una tecnologia che quindi promette tanto, a patto di integrarla nel modo giusto. «L’AI è un nuovo compagno di squadra. Un’interfaccia uomo-macchina, che deve entrare nelle pieghe dell’organizzazione e diventare di uso comune, a tal punto da diventare “naturale” usarla». Dalla selezione allo sviluppo delle persone, gli ambiti di utilizzo già oggi spaziano ben oltre l’area amministrativa. E alcune organizzazioni stanno anche sperimentando le potenzialità degli Agenti AI come business partner.
Essere un’organizzazione data-driven per abbracciare l’AI e spingere sull’iper-personalizzazione
Alla base di questo cambio di paradigma, ci sono i dati che acquisiscono sempre più un ruolo centrale, sottolinea Vargiu-Breuer: «Non ci sono più alibi per le aziende, chi vuole evolversi e portare l’AI nei processi deve diventare data-driven. I dati servono per creare insight per prendere decisioni, per confrontarsi e disegnare le strategie, e questo vale anche per l’HR. Solo partendo dai dati si può definire una people agenda che rispetti pienamente l’organizzazione, non solo oggi, ma guardando al domani».
Perché – e qui entra un altro aspetto legato all’AI, che rappresenta poi un’altra tendenza, ovvero l’iper-personalizzazione – una cosa con cui bisogna fare i conti è che «usare lo stesso approccio con tutte le persone lungo l’employee journey non funziona più. È tempo di applicare anche nel campo delle risorse umane quanto avviene nel mondo retail, basti pensare a quando si ricevono offerte personalizzate e targettizzate sui nostri usi e costumi. L’Artificial Intelligence, ad esempio, permette di definire percorsi di sviluppo e formazione tarati sulla persona».
Ed è qui che si innesta un’altra grande tendenza: quella dell’hybrid & flexible work. «Adottare l’AI mette ancora di più le persone nella condizione di decidere come utilizzare quel tempo che la tecnologia restituisce automatizzando attività routinarie e a basso valore – ribadisce la CPO -. Si concretizza così una nuova sfida per l’HR, perché il mindset oggi potrebbe portare a non reinvestirlo in azienda, ma a chiedersi come usarlo per sé stessi. È un cambiamento importante, che richiede una pronta risposta e su cui anche io ho lavorato con il mio team nel costruire la nostra people agenda».
La People Agenda di SAP: cultura, competenze e tecnologia, mettendo al centro le persone
Tre pilastri, sostenuti da una base solida, delineano oggi la strategia HR di SAP, di fronte al contesto in trasformazione. «Il fondamento è un ambiente di lavoro people-centric – racconta la Manager -. Questo vuol dire pensare al benessere, preservare la diversity & inclusion, e creare un contesto in cui le persone si sentano parte integrante e provino un senso di appartenenza».
E come sottolinea Vargiu-Breuer seguire questa strada oggi è ancora più sfidante perché viviamo in un contesto lavorativo multigenerazionale in cui tutti devono sentirsi inclusi e in cui è sempre più importante lavorare sul benessere, per essere sicuri di salvaguardare la salute mentale dei dipendenti e preservare il work-life balance.
“Growth culture”, “skills-led people ecosystem” e “game changing people technology” sono poi i tre pilastri della people agenda di SAP. Ognuno trova fondamento nella visione people-centric. Ma è anche strategicamente collegato al business.
«L’obiettivo del ‘growth culture’ è avere una cultura condivisa che ci mantenga riconosciuti e competitivi sul mercato e che dia spazio alla crescita e all’innovazione. Questo aspetto è centrale e si fonda sul concetto di ”high performance organization”, un modello che prende vita attraverso programmi e processi definiti ad hoc: l’organizzazione che ho costruito, ad esempio, guida il cambiamento organizzativo che supporta ogni nuovo progetto di business che viene lanciato».
Per la CPO, definire un’architettura del cambiamento è il motore che permette alle persone di comprendere il senso della trasformazione e le ragioni per cui l’organizzazione la porta avanti. È un tema strettamente legato alla centralità della persona: «Più siamo capaci di sostenere i dipendenti in questi momenti e di spiegare cosa sta accadendo con chiarezza, più velocemente riusciamo a generare l’impatto che desideriamo e ad accompagnare. Anche questo, dal mio punto di vista, è un approccio people-centric, soprattutto se consideriamo la paura e l’incertezza che gli individui provano di fronte ai cambiamenti».
Per quanto riguarda il secondo pilastro, secondo la manager guardando all’ecosistema delle competenze delle persone la vision è ancora una volta people-centric: «Si acquisisce una prospettiva olistica, che va ben oltre il job title o il job profile, lasciandosi alle spalle un modo di incasellare i dipendenti ormai obsoleto. Si torna quindi nella sfera dell’iper-personalizzazione, per offrire all’individuo quello di cui hai bisogno in tempo reale, investendo nel modo giusto su potenziamento e sviluppo delle competenze, per essere anche più competitivi domani sul mercato».
Infine, c’è il terzo pilastro: la tecnologia che abilita il cambiamento, che consente di promuovere la mobilità interna, lo sviluppo delle persone e della leadership, il succession e il performance management, “unendo tra loro tutti i puntini”. «Nel nostro caso, ribadisce Vargiu-Breuer, il motore è SAP SuccessFactors che, potenziata dall’AI, supporta il lavoro, stimola il coinvolgimento, ottimizza l’esperienza dei dipendenti e consente al team HR di seguirli lungo l’intero employee journey. Siamo profondamente convinti che non è possibile creare un ambiente di lavoro incentrato sulle persone o costruire un ecosistema basato sull’individuo senza includere la tecnologia. E non bisogna dimenticare che a richiederlo sono anche le nuove generazioni, che hanno fatto del digitale la loro quotidianità».
A cementare tutto c’è la leadership. Nella visione di SAP i leader hanno un triplice ruolo: sviluppano le persone, guidano la trasformazione e devono ottenere risultati, trovando un equilibrio tra breve e medio termine. Un equilibrio che non è solo questione di performance, ma di sostenibilità, guardando anche al futuro. La stessa logica si applica alla trasformazione: «Se non la guidiamo costantemente, non resteremo rilevanti. È così che promuoviamo il cambiamento e traduciamo la nostra visione in pratica. Il principio che ci guida è chiaro ed è quello che Hasso Plattner (uno dei co-fondatori di SAP SE, ndr) ha scritto nella sua mail di saluti: “Best is never done”».
Le parole di Vargiu-Breuer non fanno altro che sottolineare quindi un aspetto centrale: le organizzazioni devono essere capaci di rinnovarsi e reinventarsi. «SAP nei suoi 53 anni di storia è sempre stata in grado di adattarsi, ha capito che non poteva mai fermarsi. La cultura della crescita è nel nostro DNA, come ha ribadito Hasso “l’importante è partire sempre dal cliente e non perdere mai la voglia di competere e innovare”. Ecco perché l’Executive Board continua a osservare e interpretare ciò che accade nel mondo e tradurlo in strategia. Ricordandoci che per vincere bisogna andare avanti coesi, assumendosi la responsabilità, agendo con trasparenza e accogliendo con favore la curiosità, perché l’apprendimento costante è estremamente importante in questi tempi di rapidi cambiamenti, specialmente nel settore tecnologico. È un po’ come quello che accade nello sport: ogni professionista ha un allenatore che lo supporta per migliorare la sua tecnica e disimparare certi comportamenti che forse non aiutano a vincere o a rimanere vincenti sul campo. La stessa logica la applichiamo anche alla nostra cultura, per capire come possiamo renderla ancora più forte, come possiamo farla evolvere, in modo da adattarla al contesto in cui operiamo».











