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Collaboration Overload: consigli e strumenti per evitare il sovraccarico

Per contrastare gli impatti negativi della collaborazione virtuale sempre più pervasiva, occorre rimettere in discussione presupposti, modalità e strumenti della collaborazione, esplorando anche nuove forme di interazione asincrona. Qui una carrellata di provider tecnologici che propongono soluzioni che puntano a sostituire i meeting con nuove forme di interazione

Pubblicato il 21 Dic 2022

Matteo Ciccarese

Business Analyst di P4I - Partners4Innovation

Emanuele Madini

Partner P4I - Partners4Innovation e Practice Leader dell’area “People & Innovation”

Collaboration

Nei contesti di business attuali, la capacità di collaborare tra le persone e i team in modo agile ed efficace sta diventando sempre di più un fattore di competitività imprescindibile. Le competenze e le capacità per affrontare le sfide di innovazione e cambiamento sono sempre più numerose e disperse all’interno dell’organizzazione e servono meccanismi e approcci culturali che superino i confini organizzativi interni per creare connessioni in modo semplice e fluido.

Ci sono però altri fattori che alimentano nuove sfide per la collaboration. Per esempio, le differenze culturali tra le persone che possono dipendere dall’appartenenza a generazioni o nazionalità diverse, oppure la necessità di coinvolgere sempre più attori esterni quali Università, startup, partner, fornitori e di ridurre i tempi di realizzazione di progetti di innovazione e cambiamento per stare al passo con un mercato dinamico e altamente competitivo.

E non ultimo, il remote working, in particolare quello sperimentato durante la pandemia, ci ha permesso di potenziare le nostre capacità e attitudini nell’utilizzare il digitale per supportare i processi collaborativi ma, allo stesso tempo, la sua semplicità ha portato spesso ad alcune distorsioni ed effetti collaterali.

Osservando le analisi pubblicate in primavera da Microsoft nel report Work Trend Index, basate sui dati di utilizzo dei propri applicativi da parte di centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo, giganteggia l’aumento di +153% di meeting settimanali per persona nell’arco del biennio marzo 2020 – marzo 2022. Approfondendo questo dato, inoltre, si scopre che le riunioni con una durata sotto i 15 minuti rappresentano oggi il 60% del totale e sono cresciute più rapidamente di ogni altra categoria di durata dei meeting nell’ultimo anno e mezzo.

Realizziamo così che in questi ultimi tre anni, in cui il lavoro è diventato flessibile, remoto, ibrido, qualcosa nel modo in cui collaboriamo è irreversibilmente cambiato. Comincia perciò a farsi più concreta l’esigenza di rimettere a fuoco come lavoriamo insieme e di riportare la collaborazione al centro della progettazione organizzativa.

I cambiamenti della collaborazione nel contesto ibrido

In un articolo pubblicato a dicembre su Harvard Business Review, Andrew Brosky e Mike Tolliver presentano i risultati delle loro analisi sui dati relativi a remote meetings provenienti da alcune grandi aziende, confrontando quanto accaduto in momenti diversi tra il 2020 e il 2022. Oltre a confermare ampiamente dati e conclusioni del report di Microsoft, lo studio mette in luce ulteriori aspetti: innanzitutto, nell’incremento globale dei meeting, i dati evidenziano un calo nel numero medio di partecipanti, spinto prevalentemente da una crescita dal 17% al 42% degli incontri one-to-one sul totale dei meeting. Inoltre, le analisi rilevano che ad aver contribuito a questa crescita è stato quasi esclusivamente l’incremento di unscheduled one-to-one – cioè call non programmate tra due persone.

Da queste analisi emerge quindi che, rispetto alle fasi iniziali del lavoro da remoto, oggi tendiamo a collaborare virtualmente in modo più pervasivo, ma in gruppi più ristretti e in modo più spontaneo. E se pensiamo a cosa è cambiato nell’esperienza lavorativa da tre anni a questa parte, si può cogliere in questa tendenza una sorta di adattamento organico della collaborazione al nuovo contesto ibrido. Implicitamente, le persone stanno cercando di ricreare da remoto quella collaborazione, tanto dispersa quanto preziosa, che nasceva nel debrief alla macchinetta del caffè, nella visita all’ufficio a fianco, nella discussione in corridoio, in tutti quegli incontri fortuiti e “fortunati” con altri colleghi in ufficio. Alla luce delle perplessità oggi molto diffuse per le potenziali conseguenze del lavoro ibrido sulla capacità delle organizzazioni di alimentare l’innovazione, la cultura aziendale ed il senso di appartenenza, il fatto che le persone stiano trovando nuovi modi di coinvolgere ed essere coinvolti nei propri team appare certamente come un aspetto rassicurante.

Ripensare la collaborazione

È immediato domandarsi fino a che punto un aumento così massiccio dei meeting possa essere sostenibile per le organizzazioni. Giornate intere passate tra un meeting e l’altro senza soluzione di continuità descrivono una realtà in cui molti oggi possono facilmente ritrovarsi. Una realtà nella quale si manifesta in maniera evidente il fenomeno che Rob Cross (Professore di Global Leadership, consulente e speaker) chiama “Collaboration Overload”. Si tratta di un vero e proprio “sovraccarico” di lavoro collaborativo che minaccia direttamente non solo la produttività dell’organizzazione, ma anche il work-life balance dei dipendenti, intasando le agende e spingendo il tempo per le attività individuali nei peggiori casi al di fuori dell’orario lavorativo.

Pensando, ad esempio, proprio agli unscheduled remote meetings, secondo Cross l’impatto negativo del Collaboration Overload non deriverebbe soltanto dal volume di lavoro collaborativo che svolgiamo, ma anche dalla sua varietà. Frequenti interazioni collaborative estemporanee, con oggetti e scopi diversi, impongono infatti elevati switching costs cognitivi nascosti: interrompendo troppo spesso la nostra attività individuale e il flusso di pensiero, aumenta il tempo necessario per ritornare concentrati su ciò che stiamo facendo.

Perciò, nel nuovo contesto ibrido, le tecnologie digitali ci consentono di collaborare in modo sempre più immediato e flessibile, ma allo stesso tempo più invasivo e potenzialmente inefficiente. Il problema a questo punto assume quasi i contorni del paradosso: è possibile collaborare in maniera remota, immediata, spontanea ed efficace, evitando però al contempo di causare il collasso delle agende e preservando i momenti di concentrazione individuale?

Per cercare una risposta a questa domanda, è opportuno fare prima un passo indietro, riflettendo su come approcciamo la collaborazione. Perché nel momento in cui gli uffici si sono svuotati e ci siamo ritrovati a lavorare insieme da remoto, non abbiamo fatto altro che replicare virtualmente tutti i processi decisionali, i momenti di coordinamento, i momenti di brainstorming, la produzione collettiva di documenti, e così via. Ma nel replicare alla lettera la collaborazione nel digitale, rischiamo involontariamente di fare un “trasloco” di presupposti e abitudini della collaborazione che non si adattano ad un contesto di lavoro più digitale, flessibile e ibrido, contribuendo in ultima analisi a generare il Collaboration Overload.

Collaboration Stack, adattato

Occorre allora provare a ripensare la collaborazione, rivalutando processi, modalità e strumenti che meglio si prestano alle diverse dinamiche che la caratterizzano. Per farlo, si può partire ad esempio da un semplice schema, il Collaboration Stack, che divide la collaborazione in 5 livelli:

  • Serendipity, ovvero conversazioni inaspettate, incontri occasionali con membri di altri team o business partner che creano opportunità e scatenano grandi idee;
  • In-person, che corrisponde a riunioni in presenza del team;
  • Hybrid, dove parte del team si incontra nello stesso luogo e parte si collega da remoto;
  • Remote, per cui tutti i membri del team collaborano riunendosi da remoto;
  • Asynchronous, anche detto “meeting silenzioso”, che rappresenta infine il livello nel quale la collaborazione avviene ma non in tempo reale.

Ragionando globalmente o sui singoli livelli, l’obiettivo dello schema è semplicemente quello di innescare una riflessione su come collaboriamo:

  • Quali decisioni possono essere prese più rapidamente di come avviene ora?
  • Da quali attività trarremmo il massimo risultato se fossero svolte in una riunione in presenza?
  • Quali sono le buone prassi per una riunione ibrida o da remoto?
  • Come possiamo facilitare occasioni di conversazione e opportunità di incontro con i colleghi di altri team?
  • Ma soprattutto: quante e quali attività il team può svolgere senza necessità di una riunione?

Nuovi modi di lavorare insieme: la collaborazione asincrona

Ripensare la collaborazione per un lavoro più digitale e ibrido può arrivare a significare persino rimettere in discussione il concetto stesso di riunione. Sulla scia dell’insofferenza ormai diffusa verso l’aumento spropositato delle riunioni e la cultura “always-on”, capita sempre più spesso di porsi la stessa domanda: per lavorare bene insieme, dobbiamo necessariamente farlo in una riunione?

In effetti, se pensiamo ad alcune delle attività di collaborazione che svolgiamo, riconosciamo che oggi in un ambiente di lavoro virtuale decisioni o output vengono discussi e lavorati insieme in momenti diversi, rimanendo comunque perfettamente coordinati, attraverso mail, chat e documenti condivisi. Ma ultimamente, guardando all’ultimo livello del Collaboration Stack, l’idea che si possa fare una riunione senza fare una riunione, sta diventando sempre meno una provocazione, quanto più una risposta concreta al problema. Si tratta della “collaborazione asincrona”.

Cresce infatti il numero di provider tecnologici che cominciano a proporre soluzioni che puntano a sostituire i meeting con nuove forme di interazione. Loom, ad esempio, consente di sostituire un meeting con la registrazione di una clip. In questo modo possiamo informare i colleghi su ciò che stiamo facendo, commentando un documento o un altro tipo di output digitale mentre lo visualizziamo sullo schermo, oppure possiamo registrare un semplice video-messaggio attraverso la webcam. La differenza – e qui sta il grande beneficio potenziale – è che le persone con cui si collabora potranno riprodurre la clip quando vorranno. Un’altra applicazione, Yac, aggiunge alle clip dei canali di comunicazione dedicati per i team. Claap, invece, permette di associare topic di discussione ai diversi momenti di una registrazione video, per chiedere feedback mirati ai propri colleghi.

Anche Microsoft, nel corso di novembre, ha rilasciato un aggiornamento di Teams che consente di inviare brevi videoclip in chat, ma per ora si tratta solo di registrazioni dalla webcam con una durata massima di un minuto. In ogni caso, il fatto che la piattaforma di team collaboration oggi tra le più utilizzate al mondo si stia muovendo in questa direzione è quantomeno rilevante. Può essere la collaborazione asincrona il futuro della collaborazione ibrida?

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