Comunicare è più facile che mai e stare al passo è più difficile che mai
Con questa considerazione, i ricercatori di WorkLab – un gruppo di ingegneri, scienziati, designer e psicologi di Microsoft che conduce da diversi anni studi sul futuro del lavoro e sull’impatto delle nuove tecnologie – sintetizzano con precisione i risultati delle loro ultime ricerche pubblicate nell’edizione di maggio 2023 del report Work Trend Index, che incrocia l’analisi dei dati globali di utilizzo degli applicativi Microsoft365 con i risultati di survey condotte su oltre 30.000 lavoratori in tutto il mondo.
Nel quadro che emerge, i lavoratori oggi sono più stressati che mai e sopraffatti da un flusso continuo di informazioni e di comunicazioni, che avvengono attraverso mail, chat, call e riunioni, diventato ormai insostenibile. Il tutto mentre i ritmi di lavoro continuano a crescere.
Il 64% degli intervistati afferma infatti di faticare quotidianamente a trovare tempo ed energie per fare il proprio lavoro. Parallelamente, dall’inizio della pandemia, insieme ad un +33% nel tempo di utilizzo delle chat, a marzo 2022 il numero di call e riunioni su Microsoft Teams per persona era cresciuto del 135%. Oggi quello stesso dato si attesta a +192%. Ed ha conseguenze immediate: almeno 2 persone su 3 (68%) affermano di non avere mai del tempo di concentrazione ininterrotto durante la giornata.
Indubbiamente, oggi paghiamo alcuni effetti collaterali dovuti ai cambiamenti epocali nelle modalità di lavoro che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni. Allo stesso tempo però, di fatto, quegli stessi cambiamenti hanno impresso un’accelerazione straordinaria ai processi di digitalizzazione del lavoro e alla diffusione di nuove modalità e strumenti che ci consentono oggi di interagire in maniera semplice e immediata.
I ricercatori di WorkLab inquadrano questo contrasto tra le potenzialità di un lavoro sempre più digitale e i livelli crescenti di stress nei lavoratori in un ampio fenomeno di “digital debt”. Tempo fa avevamo già discusso di questa contrapposizione, osservando però come dietro all’aumento vertiginoso dei meeting vi sia in realtà un fenomeno più profondo: il Collaboration Overload.
Infatti, secondo Rob Cross – Professore di Global Leadership e consulente esperto in ambito organizzativo – se oggi fatichiamo a stare al passo con il lavoro non è perché siamo sopraffatti dal peso del digitale in sé, ma perché siamo sovraccaricati di collaborazione.
Il Collaboration Overload, che Cross definisce come l’onere eccessivo dovuto a troppe attività e richieste di collaborazione, ci porta a guardare anche agli atri dati pubblicati da Microsoft con una prospettiva diversa: il fatto che un lavoratore medio oggi spenda ormai il 57% del proprio tempo per comunicare, e solo la restante parte per creare o produrre, ha probabilmente meno a che fare con il digitale di per sé, quanto più con il modo in cui utilizza il digitale per lavorare insieme ad altri.
Nella Top 5 degli ostacoli alla produttività, i lavoratori mettono infatti al primo posto la gestione inefficiente delle riunioni e al terzo posto il volume eccessivo di riunioni. Inoltre, solo 1 persona su 3 si considera realmente necessaria nella maggior parte delle riunioni a cui prende parte. Questo volume eccessivo di riunioni e l’utilizzo continuo dei canali di collaborazione digitali suggeriscono effettivamente che il problema non è tecnologico, ma organizzativo.
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Le ripercussioni del Collaboration Overload
Il Collaboration Overload ha ripercussioni rilevanti, su diversi fronti. Abbiamo già menzionato per esempio l’impatto sullo stress lavorativo: diverse ricerche hanno dimostrato che riunioni e call continue portano ad accumulare stress e stanchezza e riducono la capacità di concentrazione e di ingaggio. Ma il sovraccarico collaborativo rischia soprattutto di generare direttamente nel team un “priority overload”, ovvero l’incapacità di concentrare gli sforzi sugli obiettivi chiave per le troppe richieste di collaborazione e il coinvolgimento da parte di attori diversi.
Nelle sue ricerche Rob Cross rileva che il 49% delle persone risente del priority overload, mentre al secondo posto della top-5 ostacoli alla produttività troviamo, non a caso, “obiettivi non chiari”.
Inoltre, il fatto che le persone spendano troppo tempo in attività collaborative comporta naturalmente un costo opportunità: quel 68% di persone che non trovano tempo per concentrarsi che abbiamo citato prima ha 3 volte più probabilità di non riuscire a fare innovazione e pensare in senso strategico. Inoltre, il 60% dei leader afferma già di essere preoccupato per la mancanza di idee e di innovazione da parte del proprio team.
Nel report di Microsoft, i leader e le organizzazioni intervistati sperano che l’intelligenza artificiale possa migliorare in un prossimo futuro la produttività e il benessere delle dei lavoratori, liberandoli da attività a basso valore aggiunto. Fino a quel momento però hanno la responsabilità di affrontare in prima persona un problema che oggi può compromettere concretamente le performance, il benessere e la capacità fare innovazione dei propri team.
Diagnosi del Collaboration Overload
Comprendere quali siano le cause del Collaboration Overload all’interno di un’organizzazione non è semplice, soprattutto perché si ha a che fare con un fenomeno multiforme. Quando chiediamo alle persone quali pensano siano le cause di esso, sul banco degli imputati finiscono tipicamente l’utilizzo fuori controllo delle e-mail, l’abuso di Teams per call e meeting o la confusione generata dalle notifiche in arrivo da diversi canali e piattaforme di collaborazione.
Spesso vengono accusati però anche aspetti di natura prettamente organizzativa, come ricevere richieste di collaborazione improvvise e irragionevoli da più parti, essere coinvolti in riunioni per cui non si è realmente necessari, o viceversa sentirsi in dovere di passare attraverso troppe persone per ricevere approvazioni.
Cercare le cause senza un metodo strutturato di diagnosi porta però generalmente a puntare il dito esclusivamente contro azioni e comportamenti individuali, correndo spesso il rischio di confondere i sintomi con le cause.
Gli step per eseguire una diagnosi del Collaboration Overload
È necessario affrontare il problema in maniera sistemica. In questo senso, bisogna riconoscere innanzitutto che il Collaboration Overload può manifestarsi su tre diversi livelli. Il primo livello è quello della leadership e della cultura organizzativa, vale a dire l’insieme di comportamenti e abitudini che caratterizzano l’approccio alla collaborazione diffuso nell’organizzazione.
È il livello più soft, legato tipicamente sia alle aspettative di manager e persone nella gestione delle attività collaborative, sia all’attitudine alla comunicazione e al coordinamento reciproco. Poi c’è un livello di pratiche organizzative, che fa riferimento invece alle modalità di gestione vere e proprie di processi e progetti.
Ad esempio, come vengono scambiate le informazioni e attraverso quali strumenti, per quali scopi e con quale cadenza si convocano riunioni, come viene stabilita e gestita l’ownership delle attività, e così via. Infine, più in alto troviamo il livello di network, ossia la struttura che determina le dinamiche di interazione e collaborazione all’interno di un team, di un’area organizzativa o tra diverse aree organizzative.
Diagnosticare correttamente il sovraccarico collaborativo significa quindi analizzare la collaborazione su questi tre livelli, scegliendo un approccio efficace per ciascuno di essi.
Analizzare il sovraccarico a livello di cultura, leadership e pratiche
Ai livelli sia di cultura e leadership che di pratiche, dare voce alle persone attraverso survey e interviste periodiche costituisce sicuramente un metodo valido per osservare da vicino come manager e persone percepiscono i rapporti di collaborazione, oltre a cogliere comportamenti e abitudini anomale diffuse. Tuttavia, un supporto molto più potente per ottenere informazioni precise – e soprattutto oggettive – sulla collaborazione può arrivare dai People Analytics.
Se oggi infatti le Direzioni HR acquisiscono sempre più consapevolezza dell’importanza dei dati nell’informare i processi di gestione delle risorse umane, sono ancora poche le organizzazioni virtuose che sfruttano i People Analytics per fare “collaborative intelligence”, ovvero studiare come persone, manager, team e dipartimenti lavorano insieme.
La maggior parte dei provider di riferimento nel mercato delle collaboration technologies offre oggi soluzioni per monitorare l’utilizzo dei propri applicativi. Alcuni di essi consentono di ottenere informazioni in tempo reale sui meeting che avvengono nei team o tra diversi dipartimenti, sul focus time che i dipendenti riescono a ritagliarsi, sui flussi di mail e messaggi istantanei.
General Mills (colosso americano dell’industria alimentare) e Uber sono due esempi di grandi aziende che, attraverso la collaborative intelligence, hanno osservato come gli stravolgimenti delle modalità lavorative durante la pandemia stavano aumentando sensibilmente il sovraccarico collaborativo, e hanno saputo anticiparne le conseguenze su produttività e benessere attraverso azioni mirate.
Analizzare il sovraccarico a livello organizzativo
Ci sono casi però in cui le ragioni del Collaboration Overload vanno oltre i comportamenti e le pratiche. Quando ad esempio si verificano ritardi ricorrenti in progetti interfunzionali, o quando un team o un manager diventano onnipresenti nei thread e-mail, la ragione del sovraccarico potrebbe derivare da inefficienze o incoerenze nella rete di collaborazione dell’organizzazione.
Per individuare questi difetti strutturali si può ricorrere alla Organizational Network Analysis (ONA), una metodologia per mappare la rete di relazioni informali in un’organizzazione. In sostanza, serve a creare un grafo completo delle interazioni tra i membri dell’organizzazione (i “nodi”) e ad esaminarne intensità, frequenza e natura. Tracciando i flussi di comunicazione tra i nodi del grafo, è possibile perciò ricostruire come le diverse parti dell’organizzazione (i “network”) collaborano tra di loro.
Diagnosi dell’Overload Collaboration, i pattern che causano un sovraccarico collaborativo
Studi condotti in oltre trent’anni su grandi aziende come IBM, Procter&Gamble, Genzyme, General Electric, Intel e Chevron hanno permesso ai ricercatori di Connected Commons, un consorzio accademico internazionale di cui fa pare lo stesso Rob Cross, di ricostruire alcuni pattern di network collaborativi disfunzionali, che causano tipicamente un sovraccarico collaborativo:
- nei network “hub-&-spoke” la collaborazione passa sempre attraverso un nodo centrale, tipicamente un leader (formale o informale), che blocca i processi decisionali e sovraccarica il network;
- nei network “sopraffatti” intercorrono invece tipicamente troppe richieste collaborative tra i nodi, spesso per la convinzione che “più collaborazione c’è, meglio è”. Il risultato invece è quasi sempre l’impossibilità di portare a termine il lavoro, generando stress e, nei peggiori casi, burnout;
- in altri network invece si verifica esattamente quello che abbiamo descritto prima come priority overload: troppe richieste provenienti da diversi stakeholder esterni, spesso non consci del workload a cui è già sottoposto il team o l’area organizzativa.
Una volta ricostruite le cause del Collaboration Overload, leader e organizzazioni devono quindi progettare un piano di azioni di diagnosi per mitigarne gli effetti e ricostruire una collaborazione efficace. Naturalmente, una strategia vincente dovrà prevedere misure diverse a seconda del livello su cui si va ad agire.