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Competenze, Francini di Cornerstone: “Sono la nuova valuta dell’era digitale. E non ce n’è abbastanza”



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In occasione della registrazione del podcast “Partire dall’employee experience per ripensare il mondo del lavoro” abbiamo fatto il punto sul futuro della formazione con il Manager che guida la filiale italiana dell’azienda che sviluppa applicazioni cloud per il talent management. Ecco alcuni spunti emersi

Pubblicato il 11 mag 2023



Competenze

Il nodo delle competenze è oggi uno dei più complessi da sciogliere per le aziende.

È sempre più difficile, infatti, trovare i profili professionali di cui si avrebbe bisogno, anche perché le competenze, come non mai, rischiano di diventare velocemente obsolete. Non stupisce quindi che si senta parlare di skill shortage.

Come sottolinea Federico Francini, Country Manager di Cornerstone OnDemand, in una delle due puntate del podcast “Partire dall’employee experience per ripensare il mondo del lavoro”, «le competenze sono la nuova valuta dell’era digitale. E non ce n’è abbastanza».

E questo è un aspetto con cui gradualmente tutte le organizzazioni stanno cominciando a fare i conti. Secondo il nuovo report “Persone e lavoro: i trend di quest’anno” di Cornerstone, che riporta i risultati di un’indagine condotta nella regione EMEA, solo il 30% dei CEO ritiene che il suo personale abbia le competenze necessarie per affrontare la trasformazione digitale, indicata come un processo con cui ogni azienda dovrà fare i conti (dal 90% di essi, ndr). «Come se non bastasse, molte delle skill che serviranno per il nostro domani non sono mai esistite finora e nuove, necessarie, si presenteranno nel prossimo futuro», sottolinea Francini. Basti pensare che già adesso il 52% dei datori di lavoro non riesce a coprire le posizioni aperte.

Sviluppo delle competenze in azienda: un punto importante anche per le persone

Ma quando si parla di sviluppo delle competenze in azienda sono gli stessi dipendenti a chiedere di poter accedere a programmi di formazione continua, mettendo sul piatto della bilancia questa possibilità come leva di engagement e retention. Questo vuol dire che per attrarre e far crescere le persone diventa ancora più centrale investire in formazione: solo così si può restare competitivi.

Ma c’è ancora molto da lavorare in tal senso. Infatti, c’è un crescente divario tra la capacità che le aziende credono di avere nello sviluppo delle competenze del personale e la percezione che ne hanno invece i dipendenti. Questa è la conclusione a cui è giunto il report Global Skills Analysis, stilato dal People Research Lab di Cornerstone: a valutare se cambiare lavoro perché l’azienda non offre sufficienti opportunità per sviluppare le competenze è il 64% degli oltre 1.800 dipendenti coinvolti a livello mondo, e il 42% dei Millennials intende andare altrove perché non impara abbastanza.

«L’HR deve essere in grado di individuare le azioni da intraprendere per limitare le ricadute sulla retention – ribadisce Francini -. Per questo si deve lavorare su tre dimensioni. Innanzitutto è fondamentale essere in grado di valutare in tempo reale le esigenze dell’azienda in termini di skill, sviluppando le competenze giuste al momento giusto e prendendo decisioni in modo dinamico e continuo. Inoltre, si deve creare una piattaforma di scambio interna all’azienda, una sorta di “mercato delle opportunità”, che colleghi i talenti alle offerte di lavoro e ai percorsi di carriera che si possono presentare. Infine, per evitare uno scollamento tra quello che l’azienda offre e quello che le persone si aspettano, è necessario raccogliere dati approfonditi sull’esperienza dei dipendenti e prendere decisioni sulla base di questa analisi».

Formazione personalizzata, adattabile e democratica

Quindi quello che si evince è che non è più solo l’azienda a definire una rotta per i percorsi di formazione, secondo una logica push, ma c’è anche una spinta che arriva direttamente dalle persone, a tal punto che si sta andando verso la democratizzazione dell’apprendimento. Un trend che in casi estremi sfocia nello User Generated Content, ovvero nella creazione di contenuti creati da dipendenti, community, esperti o guru presenti nelle organizzazioni che vengono condivisi con i colleghi.

In generale, comunque, rispondere alle richieste formative dei dipendenti vuol dire garantire una forte personalizzazione dei contenuti. Inoltre, bisogna considerare che ognuno ha un inclinazione differente all’apprendimento. Mettendo insieme questi elementi è possibile disegnare un’esperienza formativa che stia al passo con le reali esigenze delle persone.

Concetti questi ribaditi anche da Francini: «La formazione deve essere fortemente personalizzata e adattabile in funzione dell’evoluzione continua delle skill, deve essere fruibile nel flusso di lavoro usando gli strumenti di produttività individuale presenti in azienda, deve essere accessibile anche da mobile, online e offline. Inoltre, in generale, tutti i contenuti – anche quelli obbligatori ad esempio sulla Compliance, sulla Sicurezza, sulle Policy aziendali – devono essere “attraenti”, offerti con piattaforme di apprendimento molto smart, totalmente consumer».

Questo vuol dire che alle soluzioni più “tradizionali” di Learning Management System (LMS), come quella adottata da Generali, si devono affiancare le Learning Experience Platform (LXP), che mettono al centro il dipendente, la formazione autogestita e l’apprendimento in una community. «Una buona LXP consiglia contenuti di formazione personalizzati a seconda degli obiettivi dell’utente, promuove l’apprendimento di gruppo e consente lo sviluppo continuo delle competenze. Il tutto con un approccio altamente mirato e coinvolgente, proprio come Netflix, Spotify o Prime video», racconta Francini.

In pratica le LXP combinano l’apprendimento esperienziale, i contenuti e lo sviluppo delle competenze, trasformando l’e-learning in un potente motore di crescita, agilità e mobilità. Questo consente di aumentare l’inclusione e l’autonomia a ogni livello organizzativo, migliorando soddisfazione e retention.

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