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Dal taglio del cuneo fiscale ai contratti a termine, le novità del Decreto Lavoro



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Assegno di inclusione, interventi per sostenere il percorso di inserimento lavorativo, incentivi all’occupazione per le aziende. Queste, e non solo, le misure contenute nel Decreto 1° maggio. Ecco cosa cambia e cosa ci si auspica a tendere

Pubblicato il 3 mag 2023



Decreto Lavoro

Il 1° maggio, da Palazzo Chigi, il Consiglio dei ministri ha approvato l’atteso Decreto Lavoro.

Andiamo a vedere dunque più nel dettaglio quali sono state le principali novità introdotte dal decreto, ribattezzato “Decreto 1° maggio”, e come queste andranno realmente a modificare lo stato attuale delle cose.

Decreto Lavoro 1° maggio 2023: le principali novità introdotte

Superamento del Reddito di cittadinanza, politiche attive, taglio del cuneo fiscale, contratti a termine, fringe benefit, sicurezza sul lavoro. Sono questi i macro temi toccati dal Decreto Lavoro 2023, di cui al momento si può prendere visione, quantomeno parziale, nel comunicato stampa diffuso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Addio Reddito di cittadinanza, nuove misure per occupabili e non occupabili

L’avevano promesso e l’hanno fatto. Col Decreto Lavoro il nuovo Governo ha cercato di porre rimedio alla più grande stortura del Reddito di cittadinanza che tante critiche ha attirato addosso alla misura, prestando il fianco a tutti quegli imprenditori che, anziché analizzare in maniera autocritica la propria perdita di attrattività, hanno deciso in massa di puntare il dito sui cosiddetti “poltronari”. In realtà basterebbe leggere con attenzione i dati per comprendere che il Rdc non sia stato poi quel male assoluto del mercato del lavoro come è stato dipinto. Se per alcuni versi e in alcuni casi le cose non hanno funzionato le motivazioni sono certamente più complesse. Ad ogni modo, col nuovo Decreto Lavoro viene introdotta una spaccatura netta tra occupabili e non occupabili, e per ognuno dei due gruppi sono previste misure differenti.

Dal 1° gennaio 2024, le famiglie in cui sono presenti una persona con disabilità, un minorenne o un ultra-sessantenne e che siano in possesso di determinati requisiti come un Isee non superiore a 9.360,00 euro all’anno, scatta la misura di integrazione al reddito che prende il nome di Assegno di inclusione (Adi). L’importo del sostegno economico non sarà inferiore a 480 euro al mese, sino ad un massimo di 630 euro se la famiglia è composta da over 67 o se ci sono disabili gravi. A queste cifre si aggiungono 280 euro mensili se il nucleo familiare vive in affitto. Il contributo avrà una durata di 18 mesi continuativi con la possibilità di un rinnovo per ulteriori 12 mesi.

Se l’Assegno di inclusione è stato pensato come una misura a contrasto della povertà, rientra invece nell’area delle politiche attive del lavoro la misura rivolta ai soggetti di età compresa fra i 18 e 59 anni in condizioni di povertà assoluta ma occupabili. Nello specifico si tratta di un contributo economico pari a 350 euro al mese a partire dal 1° settembre 2023 per un massimo di 12 mesi non rinnovabili. Questa misura è volta a sostenere il percorso di inserimento lavorativo, anche attraverso la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale. Inoltre, sempre per quanto riguarda i soggetti occupabili è prevista la decadenza dal beneficio nel caso di rifiuto di una offerta di lavoro a tempo pieno o parziale con una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi. Se l’offerta di lavoro è a tempo determinato dovrà essere entro un raggio di 80 km dal domicilio del lavoratore, se è a tempo indeterminato, invece, potrà essere su tutto il territorio nazionale. Progetti di formazione e offerte di lavoro verranno gestiti in un’unica piattaforma informatica nazionale sulla quale i soggetti interessati dovranno registrarsi.

Incentivi all’occupazione

Per i datori di lavoro privati che intendano assumere i soggetti “occupabili”, il Decreto Lavoro prevede la possibilità di fruire, a determinate condizioni, di incentivi nella forma di un esonero contributivo previdenziale. Ci si augura che questa corsia preferenziale non crei squilibri in un mercato del lavoro che dovrebbe sostenere sì le fasce più deboli, ma incentivare anche la meritocrazia e la specializzazione puntando alla qualità.

Al fine di favorire l’occupazione giovanile sono previsti poi incentivi pari al 60% della retribuzione per un periodo di 12 mesi, a favore dei datori di lavoro che assumono giovani sotto i trenta anni di età, non inseriti in programmi formativi e registrati nel PON “Iniziativa Occupazione Giovani”.

Taglio del cuneo fiscale, ma sino a dicembre

Dopo aver un po’ ballato sui numeri, la versione definitiva del Decreto Lavoro prevede un taglio del cuneo fiscale innalzando lo sgravio contributivo dal 3% al 7% per i redditi fino a 25mila euro, mentre viene innalzato dal 2% al 6% per i redditi fino a 35mila. A conti fatti questo significherà un rientro netto in busta paga fino a 100 euro per i lavoratori più deboli. La misura però ha un limite temporale e riguarderà il periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2023. Si auspica diventi strutturale nel periodo a seguire.

Nuova spinta sui contratti a termine

Il Decreto 1° maggio tocca un altro punto dolente del nostro sistema lavorativo: i contratti a termine, che hanno concorso a portare la precarietà nel nostro Paese tra i livelli più alti registrati in Europa.

La misura appena varata dal nostro Decreto Lavoro prevede causali meno stingenti (rispetto al precedente Decreto Dignità) per prorogare i contratti a termini oltre i primi 12 mesi, ma sempre per un massimo di 24. Nel dettaglio, la nuova disciplina ammette il rinnovo del contratto a termine in tre casi:

  • nei casi previsti dai contratti collettivi;
  • per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2024;
  • per sostituire altri lavoratori.

Quindi, si continua a sostenere la logica che aprendo ulteriormente le maglie dei contratti a tempo determinato si incentivino le assunzioni. Cosa purtroppo non sempre riscontrata. L’auspicio è quindi che, trattandosi di una misura sperimentale che trova la sua conclusione il 31 dicembre 2024, venga rivista.

Basterebbe, ad esempio, guardare verso la Spagna per capire come una diversa politica del lavoro che bandisca il precariato sia possibile: più 238,4% è l’aumento percentuale dei contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati in Spagna tra gennaio e novembre 2022 (oltre 6,5 milioni) rispetto a quelli sottoscritti nello stesso periodo dell’anno precedente (circa 1,9 milioni), e questo grazie ad un accordo tra governo, industriali e sindacati.

Più fringe benefit, ma non per tutti

Il Decreto Lavoro innalza la soglia dei fringe benefit (i buoni esentasse parte del sistema di welfare aziendale) riportandola dagli attuali 258 euro a 3.000 per tutto il 2023, ma solo per i lavoratori dipendenti con figli a carico. Una misura dunque a sostegno delle famiglie e della natalità, rivendica il ministro Giorgetti.

I limiti del Decreto Lavoro

Altro è contenuto nel comunicato ufficiale del Decreto Lavoro come l’istituzione del Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative; tuttavia, volendo guardare il decreto nel suo insieme, non si può far meno di notare un profondo scostamento con la realtà. Il punto è proprio che il mondo del lavoro è profondamente cambiato negli ultimi anni tra nuove esigenze dei lavoratori (Great Resignation docet, o almeno dovrebbe) e una rivoluzione tecnologica che corre a gran velocità e richiede persone sempre più qualificate per poterla governare e sfruttarne le potenzialità senza subirle.

Ciò che ci si dovrebbe aspettare dunque da chi ci governa, più che qualche sgravio fiscale o liberalizzazione di contratti, sarebbe invece un ampio progetto sistemico guidato da un’unica visione chiara che conduca il nostro Paese ai più alti livelli di competitività. Ne parla chiaramente Mariano Corso, Professore Ordinario di “Leadership e Innovation” presso il Politecnico di Milano nonché cofondatore degli Osservatori Digital Innovation, che, in un articolo pubblicato sul suo account LinkedIn, spiega chiaramente le conseguenze del disallineamento tra le aspettative dei lavoratori e ciò che le aziende offrono oggi inserendo queste dinamiche in un contesto che vede sempre più le organizzazioni arrancare nell’attrarre e trattenere i talenti. Diverse le cause: demografiche, solo il 28% della popolazione ha meno di 30 anni; educative, solo il 27% dei giovani è laureato (e pochi nelle discipline STEM) contro il 40% della media europea; sociologiche, in Italia i NEET, giovani che non studiano e non lavorano, sono 3 milioni, il 70% in più della media europea; migratorie, sono 5,8 milioni gli italiani che lavorano all’estero, un numero enorme non bilanciato quantitativamente né qualitativamente dall’immigrazione. Investire nel sistema scolastico, puntare con forza sulla formazione e riqualificazione professionale, scommettere sull’inclusione, favorire l’innovazione tecnologica e manageriale. Ecco su cosa bisognerebbe focalizzarsi, sostiene Mariano Corso, e noi non possiamo far altro che condividere il suo pensiero.

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