L’evoluzione dello Smart Working in Italia continua a raccontare una storia di adattamento più che di arretramento. Mentre i media internazionali descrivono un presunto ritorno in ufficio, i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano mostrano un quadro più articolato: la flessibilità non è in declino, ma si sta consolidando. Le imprese italiane, dopo la fase emergenziale della pandemia e la normalizzazione del 2023-2024, hanno trovato un punto di equilibrio tra autonomia, responsabilità e coesione organizzativa.
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La fotografia del 2025: crescita nelle grandi imprese e nella PA
Durante la presentazione dei risultati della ricerca 2025, Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio, ha sottolineato come «il numero degli smart worker torni a crescere, seppure in modo graduale». La crescita riguarda soprattutto le grandi imprese, che si avvicinano ai due milioni di lavoratori flessibili, un valore distante meno del 5% dal picco raggiunto nel periodo pandemico.
La vera novità del 2025 è però la ripresa dello Smart Working nella Pubblica Amministrazione, che compensa il calo registrato tra piccole e medie imprese. Il ritorno del lavoro agile nella PA rappresenta un segnale di maturità: dopo anni in cui la flessibilità è stata percepita come un’eccezione, gli enti pubblici stanno consolidando modelli più stabili e misurabili.
Corso ha chiarito che la presunta “marcia indietro” di cui si parla spesso è più narrativa che reale. «I dati mostrano una sostanziale stabilità. Due aziende su tre adottano modelli flessibili, e le previsioni per il 2026 indicano un’ulteriore espansione, con un incremento atteso anche tra le medie imprese».
In sintesi, lo Smart Working in Italia non sta scomparendo: sta diventando strutturale, e soprattutto più diversificato nei suoi approcci.
Il potenziale inesplorato della flessibilità
Uno dei dati più significativi della ricerca riguarda i lavoratori potenzialmente smart. Secondo le stime dell’Osservatorio, il 21% dei lavoratori che oggi non fanno Smart Working ritiene di poter svolgere almeno la metà delle proprie attività da remoto, mantenendo la stessa efficacia.
Questo dato, osserva Corso, «mostra che il margine di crescita è ancora ampio, soprattutto nelle micro e piccole imprese, dove la percentuale di smart worker potrebbe più che raddoppiare, passando dal 10% al 24%».
La maggiore diffusione del lavoro ibrido non dipende solo dalle dimensioni aziendali, ma anche dalla cultura organizzativa e dalla capacità di ridefinire i ruoli. Le grandi imprese rimangono le più pronte ad assorbire l’evoluzione tecnologica e a trasformare il lavoro in chiave flessibile, mentre nelle PMI il cambiamento procede più lentamente, spesso frenato da vincoli gestionali e da modelli di leadership tradizionali.
La Pubblica Amministrazione, invece, rappresenta oggi un laboratorio interessante per lo Smart Working: le nuove direttive ministeriali e la diffusione di strumenti digitali stanno favorendo la nascita di modelli di lavoro ibrido capaci di unire efficienza e qualità del servizio, segnando una distanza rispetto al passato, quando il “lavoro agile” era percepito come misura temporanea.
Dai numeri alle persone: una trasformazione culturale
Nella presentazione successiva, Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working, ha approfondito il modo in cui le organizzazioni italiane stanno strutturando le proprie politiche di flessibilità. «Nel 2025 – ha spiegato – la Pubblica Amministrazione ha visto una crescita delle iniziative, passando al 67% delle organizzazioni (+6 punti percentuali rispetto al 2024). Le grandi imprese hanno consolidato la propria presenza, mentre le PMI hanno mostrato una lieve contrazione, pur rafforzando i progetti strutturati».
Il quadro complessivo rivela che lo Smart Working in Italia sta assumendo caratteristiche sempre più differenziate. Nelle grandi aziende e nella PA prevale un approccio formale, con policy definite e strumenti di accompagnamento, mentre nelle PMI la flessibilità resta in gran parte informale, fondata sul rapporto fiduciario tra manager e collaboratori.
Crespi ha anche descritto l’evoluzione dei modelli organizzativi, che oggi spaziano dal modello ibrido strutturato, con regole chiare e verificabili, al modello a libera scelta, dove sono i lavoratori a decidere tempi e luoghi. L’adozione del modello full remote, invece, rimane residuale e circoscritta ai settori dei servizi digitali.
Le differenze tra settori e modelli di maturità
Il 2025 segna anche una maggiore polarizzazione dei modelli di maturità. Nelle grandi imprese, le giornate di lavoro da remoto si attestano in media attorno alle 10 al mese, mentre nella Pubblica Amministrazione sono circa 8 e nelle piccole imprese solo 5.
Le differenze non riguardano solo la quantità, ma anche la variabilità interna: «Nelle grandi aziende e nella PA – ha spiegato Crespi – il modello di Smart Working è spesso uniforme per tutte le professionalità, mentre nelle PMI esiste una maggiore personalizzazione. Solo il 31% delle piccole e medie imprese applica regole identiche a tutti i lavoratori».
Questa eterogeneità riflette una diversa concezione della flessibilità: nelle grandi organizzazioni è uno strumento di governance, nelle piccole è una pratica adattiva. Ma la convergenza tra i due modelli è già visibile. Le medie imprese, ad esempio, stanno adottando politiche più strutturate (+7 punti percentuali rispetto al 2024), avvicinandosi ai comportamenti delle aziende di grandi dimensioni.
Secondo Crespi, ciò dimostra che «lo Smart Working non è più un privilegio o una misura emergenziale, ma un modo di lavorare che definisce l’identità stessa dell’organizzazione».
Lo spazio come leva strategica
La trasformazione dello Smart Working in Italia non si misura solo nei numeri, ma anche nei luoghi. La ricerca dell’Osservatorio ha individuato cinque modelli di workplace: multipurpose, collaborativo, clubhouse, hub & spoke e no office.
Il più diffuso rimane il modello multipurpose, con spazi diversificati che supportano diverse tipologie di attività, ma è in rapida crescita l’approccio collaborativo, che privilegia ambienti pensati per stimolare l’interazione e la creatività.
Le aziende più avanzate stanno sperimentando sedi “clubhouse”, concepite come punti di incontro e non più come postazioni fisse, mentre si affermano strutture decentrate secondo la logica hub & spoke. Questa evoluzione, osserva Crespi, «mostra che lo spazio di lavoro non è più solo un contenitore, ma un attivatore di relazioni e innovazione».
La progettazione degli ambienti fisici diventa così parte integrante della strategia di Smart Working, al pari delle policy e delle tecnologie.
Oltre la flessibilità: verso una nuova normalità
Il 2025 conferma che lo Smart Working in Italia è entrato in una fase di maturità, ma non di saturazione. Le aziende e le istituzioni pubbliche stanno consolidando modelli sostenibili, capaci di integrare produttività e benessere.
Come ha evidenziato Corso, «la flessibilità resta una leva chiave per attrarre talenti e per accompagnare l’adozione dell’Intelligenza Artificiale nei processi di lavoro». Il futuro del lavoro non è dunque un ritorno al passato, ma un equilibrio dinamico tra autonomia, fiducia e responsabilità condivisa.
I dati dell’Osservatorio mostrano che l’Italia, pur con ritmi diversi rispetto ai paesi anglosassoni, sta sviluppando una cultura del lavoro flessibile sempre più consapevole. E proprio nella capacità di unire innovazione tecnologica e modelli organizzativi sostenibili si gioca la sfida dei prossimi anni.






