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Organizzazioni positive e chief happiness officer: è tempo di ripartire dall’umanizzazione e dalla socializzazione

L’organizzazione positiva è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con le altre. Ecco perché è importante ostacolare l’infelicità che dilaga in azienda in favore di un atteggiamento positivo orientato al far fiorire la felicità, una meta-competenza che ha basi scientifiche e che si può imparare e allenare a ogni età. L’intervista a Daniela Di Ciaccio e Veruscka Gennari, co-founders di 2BHappy Agency

Pubblicato il 25 Nov 2019

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Arrivati all’ottava tappa del nostro viaggio provo a mettere tutto quello che abbiamo visto nei mesi precedenti all’interno di una cornice di senso: le organizzazioni positive e lo sviluppo delle competenze del chief happiness officer che è dentro ciascuno di noi! Ho parlato di questo con Daniela Di Ciaccio (a sinistra nella foto) e Veruscka Gennari (a destra nella foto), co-founders di 2BHappy Agency e IIPO (Italian Insitute Positive Organizations), che ci hanno raccontato dell’energia pura che si sprigiona quando propositi e valori si incontrano!

La felicità è una meta-competenza e ha basi scientifiche, si può imparare e allenare a ogni età: qualche consiglio?

Se oggi grazie alla scienza sappiamo di essere più creativi, intelligenti, intenzionali ed empatici quando produciamo una “chimica positiva” (i cosiddetti ormoni del benessere come le endorfine, l’ossitocina, la dopamina e la serotonina), e più felici, longevi e resilienti se abbiamo un buon capitale sociale, ossia quando abbiamo costruito una solida e sana rete di relazioni di fiducia, possiamo allenare la nostra felicità e influenzare positivamente chi ci circonda. Come? Attraverso comportamenti orientati alla gentilezza, alla gratitudine, al rispetto, sorridendo e prendendoci cura delle persone che amiamo, coltivando comportamenti altruistici e rimanendo presenti a noi stessi, nel famoso “qui e ora” attraverso una respirazione consapevole, che ci abitua a interrompere le risposte automatiche e ad accorgerci di ciò che accade intorno a noi.

L’infelicità in azienda è in aumento, costa ed è pervasiva, qualche relazione con il nuovo bisogno di digital detox?

Al lavoro siamo continuamente sfidati e sotto pressione: lo stress da lavoro causa tra il 60 e l’80% degli incidenti ed è cortisolo che circola nel nostro organismo, chiudendo la visione d’insieme e limitando la nostra lucidità e le nostre capacità decisionali. Se aggiungiamo a questi dati quelli della sempre maggiore dipendenza digitale (il 67% dei proprietari di smartphone controlla il proprio dispositivo anche quando non riceve alcuna notifica di messaggi), ci rendiamo conto di quanto non solo stiamo perdendo in termini di produttività (per il calo di concentrazione e focus) ma anche rischiando in termini di salute, equilibrio personale e rischio di fare errori fatali. Se un’interruzione di soli 2.8 secondi (il tempo di leggere un whatsapp) può raddoppiare il tasso di errore anche su compiti semplici, pensate per alcune professioni in cui in ballo può esserci la vita delle persone quanto questi temi siano cruciali.

Tecnologia sociale e cablaggi di capitale umano: in che modo supportano la digitalizzazione delle organizzazioni positive?

L’organizzazione positiva per definizione è un luogo in cui le persone fioriscono in relazione con le altre. Potremmo anche definirla un contesto il cui capitale umano consapevole è capace di collegarsi in maniera spontanea in reti di energia positiva e produrre risultati significativi, per i singoli e l’organizzazione stessa. La sfida per tutte le organizzazioni non è la digitalizzazione, che riguarda gli strumenti e il come possiamo accelerare sostenibilità, efficienza e produttività, quanto piuttosto l’umanizzazione e la socializzazione di processi, comportamenti e procedure, affinché ogni introduzione di nuova tecnologia non finisca per generare resistenze o essere vissuta come moda, o peggio elemento di incoerenza di un sistema che non ha creato le pre-condizioni “culturali” affinché gli strumenti siano realmente efficaci.

Quali competenze il chief happiness officer condivide con l’innovation manager per una crescita sostenibile ecosistemica?

L’innovazione è un complesso processo sociale da cui non possiamo prescindere ma che possiamo influenzare attraverso lo sviluppo e il potenziamento della nostra capacità di leggere gli scenari e valutarne gli impatti sulla forza lavoro, navigare nell’incertezza e prendere decisioni etiche oltre che originali, sviluppare sistemi che rafforzino competenze sociali e creative. L’innovation Manager condivide con il chief happiness officer l’essere ponte tra la tecnologia e le persone, aiutandole a sviluppare abilità che permettano di apprendere continuamente e, nello stesso tempo, di mettere in discussione modelli concettuali e operativi non più funzionali, mostrando modelli flessibili e collaborativi che permettono l’integrazione di vari ecosistemi, esprimendo valori e principi etici che devono essere al centro dei nuovi modelli che verranno elaborati.

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