Professioni digitali

Temporary Manager, i nuovi professionisti “a tempo parziale” che aiutano la digital transformation

L’innovazione digitale ha creato una domanda di consulenti con vasta esperienza e competenze più specifiche e granulari, in grado di offrire alle aziende supporto decisionale rispetto alle molteplici e complesse scelte tecnologiche. Si diffondono così nuove modalità di collaborazione tra professionisti e imprese, come il Temporary Manager, il Fractional Manager, l’Innovation Manager esterno. Ecco chi sono e cosa fanno

Pubblicato il 14 Mar 2019

Giovanni Viani*

Partner, YourGroup

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La trasformazione digitale, che sta attraversando – o travolgendo, a seconda dei punti di vista – società, industria ed economia porta con sé importanti cambiamenti anche nel mondo del lavoro. Nascono nuove professioni e ruoli, come l’innovation manager, e cambiano le modalità di collaborazione, con figure come il Temporary manager e il Fractional executive. Fino a qualche anno fa le aziende cercavano di avere dipendenti a tempo permanente e flessibili rispetto all’evoluzione in atto, oltre che dirigenti in grado di progettarla e guidarla. Oggi hanno soprattutto bisogno di partner e consulenti che diano supporto decisionale rispetto alle opzioni che la tecnologia offre, mediante la condivisione di soluzioni, servizi, use case, proof of concept, analisi e previsioni. Anche la messa a terra dei progetti è importante, ma le decisioni su vendor e soluzioni lo sono di più. Negli ultimi anni, il digitale ha moltiplicato l’offerta di prodotti, servizi e opzioni e occorrono mappe e guide esperte per non trovarsi fuori strada o in un vicolo cieco.

Per innovare serve esperienza e flessibilità

I manager “a tempo parziale” rispondono a una doppia esigenza. Da un lato, le imprese hanno bisogno di consulenti indipendenti e competenti per far loro da guida tra le molte opzioni funzionali e trasversali, esplose grazie al digitale. Competenti ha un significato nuovo, perché vuol dire che di quelle piattaforme, soluzioni e di quei vendor e dei loro team abbiano esperienze aggiornate e operative.

Dall’altro, i manager che lavorano in azienda, a volte un po’ travolti dalla digital transformation, intrappolati tra task e ruoli tradizionali e allo stesso tempo aspettative su nuove skill verticali, su piattaforme che emergono sempre più frequentemente sul mercato e che evolvono con cadenze ravvicinate, possono sentirsi a rischio obsolescenza. E possono vedere il passaggio dall’azienda alla consulenza come un modo per mantenersi sulla breccia della trasformazione digitale. Diventare un Temporary manager, o un manager “a tempo parziale”, significa scegliere un lavoro più dinamico, con una migliore work life balance, soprattutto per chi ha spirito libero e propensione al networking. E anche come un modo per crearsi l’anticamera per un passaggio imprenditoriale, in un secondo passaggio.

Ecco alcune delle nuove modalità di collaborazione tra professionisti e imprese.

Chi è e cosa fa un Temporary Manager

Il temporary manager in senso stretto è una figura che entra in azienda in momenti di particolare criticità, in cui si vuole imprimere un cambiamento. Può entrare con un ruolo definito, ma più spesso entra senza una “etichetta”, perché c’è già un team manageriale e non lo si vuole smontare, sia per evitare di accentuare la criticità sia perché spesso non è chiaro dove stia il problema. Ed è proprio compito del temporary manager identificarlo. Il temporary manager è quindi una figura che ha coperto incarichi apicali e vissuto esperienze molto diversificate, sia in grandi che in piccole imprese e ha il mandato del proprietario dell’azienda o del presidente del CDA, con l’obiettivo di gestire un turnaround, quindi cambiare e innovare, implementando una trasformazione di processo o di approccio al mercato.

Chi è e cosa fa il Fractional Executive

Si chiama così l’ex CEO o Direttore di Funzione, che può essere un ex CFO, direttore marketing, sales, produzione, IT o direttore HR che mette la sua esperienza, spesso maturata in multinazionale, a disposizione delle aziende, prevalentemente piccole o medie. Normalmente questo tipo di azienda non potrebbe permettersi un professionista di questo livello, né probabilmente il professionista sarebbe così interessato a dedicare la totalità del suo tempo a un’azienda, perché preferisce mantenere la relazione anche con altri clienti, nonché continuare a mettere alla prova la propria competenza in aziende diverse, tenendosi aggiornato e sviluppando più use case. Diventa di reciproco interesse, allora, un rapporto frazionale, ovvero di uno o due giorni la settimana, che possono essere non necessariamente “on premise” né continui o consecutivi, l’importante è che vengano documentati in un timesheet, che poi verrà letto a consuntivo, a scadere dei 3-4 mesi in cui il rapporto è inteso durare o rinnovarsi per touchpoint.

Advisor

È una formula ancora più essenziale e valorizzante la relazione, in cui il professionista mette a disposizione ad esempio una mezza giornata a settimana, più qualche giornata al mese ‘a chiamata’, ovvero on demand. In queste sessioni il consulente passa in rassegna stato dei progetti, ambiente, decisioni prese e mette a disposizione la propria esperienza e le proprie relazioni.

Innovation Manager: interno o esterno all’azienda

Occorre distinguere tra l’innovation manager interno all’azienda, da qualche anno presente in moltissime imprese industriali e di servizi, in diversi casi di estrazione IT, ma spesso anche marketing o HR, e l’Innovation manager esterno. Il primo può occuparsi variamente di trasformazione digitale, change management, open innovation, corporate venture capital, a seconda di come è inserito nell’organizzazione. L’innovation manager esterno, invece, è una figura ancora più recente, che in Italia ha avuto particolare visibilità in questo inizio di 2019 perché inserita tra le misure del MISE per l’Industry 4.0 e di sostegno all’innovazione. È individuato infatti dal maxi-emendamento della legge di bilancio 2019 come il regista della digitalizzazione dell’impresa, di supporto nella scelta delle tecnologie, e il suo intervento è sostenuto con un voucher che copre fino al 50% del costo della sua consulenza (per le PMI, che altrimenti potrebbero fare fatica a dotarsene – ma ovviamente può essere di grande aiuto anche per le grandi imprese e multinazionali, grazie all’imparzialità e trasversalità che offre). Federmanager nel 2018 ha formato circa 300 manager di questo tipo, e altri ne formerà entro la fine del 2019. I manager hanno anche ricevuto la certificazione RINA e la previsione è che svolgano la loro attività non solo in modo indipendente e di propria iniziativa, ma anche che operino su delega dei Digital Innovation Hub, le strutture regionali di Confindustria per la digital transformation, col compito quindi di svolgere il digital assessment delle imprese, verificandone il livello di adeguamento tecnologico, per proporre soluzioni a vantaggio della competitività della singola azienda e quindi del sistema Paese, guardando alle tecnologie disponibili ad ogni livello sul mercato, oltre a quelle accessibili attraverso i Competence Center, così come attraverso i programmi di Confindustria tra i cluster tecnologici e più recentemente la piattaforma Connext.

Coach

Normalmente lavora per un obiettivo molto definito e applica la propria attività a un singolo o un team. Il genere di coach cui vogliamo fare riferimento in questo contesto è quello orientato al change management e al cambiamento culturale, ad esempio per favorire l’accettazione del cambiamento, ma ancora di più per generarlo, attraverso sviluppo di spirito imprenditoriale e di attitudine all’innovazione, anche mediante interventi di open innovation, ovvero mettendo a contatto dipendenti e startupper.

Work for capital: il consulente-socio

Work for capital significa lavorare in cambio di una quota di capitale sociale, quindi essere consulente e socio allo stesso tempo. È una formula particolarmente applicata dalle start up, che non hanno cassa ma forte necessità di competenze e relazioni. Non possono assumere senior manager e l’unica cosa che possono fare per attrarli è offrire una parte del proprio capitale sociale. Il capitale può essere ceduto al verificarsi di determinate condizioni, quindi successivamente all’opera prestata per un determinato periodo di tempo. Oppure si può scegliere forme miste, per cui il professionista è pagato per metà in denaro e per metà in capitale, una formula ancora più interessante perché sostiene il manager, creando una relazione equilibrata di commitment. Il valore del capitale è normalmente ceduto con uno sconto. Questa formula è in qualche modo all’interno di un ventaglio di modalità di collaborazione che va dal ruolo di mentor, che opera gratuitamente, a quello di business angel, che invece investe risorse proprie senza altra aspettativa economica se non la remunerazione dell’investimento. Il mentor offre la propria prestazione di supporto alla start up in modalità “in kind”, ovvero gratuitamente. Per molti manager fare il mentor può essere una prima occasione per passare da ex dirigente d’azienda a consulente, cioè un modo per fare esperienza senza correre il rischio di bruciarsi in questo passaggio. Oppure può essere un primo step per poi evolvere in work for capital o diventare business angel, quindi per conoscere una realtà aziendale e partecipare al suo indirizzamento prima di impiegarvi un maggiore impegno o investirvi una somma (normalmente piccola, ma che diventa più importante quando ci si allea con altri colleghi).

Temporary manager: obiettivi complessi da fissare

Tutte queste formule di lavoro autonomo consentono quindi al manager di continuare ad accumulare esperienze importanti, sia funzionali, sia tecnologiche, confrontando soluzioni e capitalizzando use case e relazioni. E sicuramente forniscono all’imprenditore o al general manager dell’azienda cliente un set di modalità di collaborazione granulare, per disporre del giusto professionista, al giusto prezzo, rispetto alla missione che si ha in mente. Creare piani per raggiungere obiettivi di business misurabili in clima di mercati e tecnologie in evoluzione è molto difficile, un vero moving target, ma sicuramente disporre di consulenti qualificati e con cui costruire un rapporto di fiducia può rappresentare uno strumento chiave e strategico di sviluppo e ancor più di gestione del rischio.

I nuovi lavori digitali: esempi in Produzione, Marketing, Finanza

Industry 4.0 non è una singola tecnologia né una piattaforma, ma un approccio che può essere sviluppato in infinite combinazioni e con livelli di efficienza e customizzazione dei processi illimitati, che si rinnova continuamente. Occorre decidere quale generazione o variante tecnologica adottare, a che livello spingere l’integrazione, mantenendo il sistema scalabile e interoperabile. Inserire nel plant di produzione un sistema di sensori, parte di una piattaforma IOT, connessa al MES, a sua volta integrato con l’ERP aziendale da un lato e con il software di PLM dall’altro, tutto ciò crea una catena del valore che di fatto può mettere in rete in modo sinergico tutte le funzioni aziendali dal CAD al CRM, quindi dal momento in cui si progetta fino al post-vendita. E questo può consentire ad esempio di implementare in tempo reale o quasi le risposte del mercato, intervenendo a ritroso direttamente sulla linea di produzione. Attraverso sensori ad esempio connessi in NB-IoT, il feed-back post-vendita può avvenire anche senza azione dal parte dell’end user, ma direttamente dal prodotto. E si può intervenire sulla linea di produzione dal MES oppure servendosi di sistemi di realtà aumentata ormai alla portata di tutti, modulari nelle suite dei software di gestionali e di plant.

Nel marketing le cose non sono diverse, in termini di complessità e di opportunità. Non più solo marketing automation e lead generation, ma continua a crescere il programmatic, ovvero l’acquisto di spazi, impression e audiences in real-time bidding, su parametri sempre più sofisticati. Ovviamente tutto ciò presuppone l’utilizzo di un numero crescente di piattaforme, tecnologie, competenze. Nel programmatic, che vale oggi in Italia circa 500 mln di euro, cioè il 26% dei banner che circolano sulla rete (Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, 2018), tra inserzionista ed editore non ci sono più solo concessionaria e centro media, ma anche diversi livelli di piattaforme, ovvero DSP (demand side platform), AD Exchange, SSP (supply side platform), nonché servizi a tutela della privacy in base alla nuova GDPR, detti CMP (consent management platform). Molti intermediari vuol dire anche molte possibilità di perdite di trasparenza e di efficienza, e così si moltiplicano le riflessioni e i sistemi finalizzati a verificare l’effettiva distribuzione, erogazione ed efficacia del messaggio, per determinare il vero ROI dell’investimento. Per quanto i dati non manchino per le cosiddette attribution analysis, che mirano ad assegnare a ogni canale di comunicazione il giusto merito nella trasmissione del messaggio, la difficoltà diventa quella di reperire i team e le risorse umane realmente capaci di compiere questo tipo di analisi nel modo più corretto, generando informazioni applicabili alle decisioni d’investimento.

La difficoltà deriva dal fatto che questo tipo di piattaforme parla secondo regole sempre più specifiche, una serie di black box che però il decisore aziendale ha necessità di aprire per prendere decisioni di investimento ed efficientamento. E i dati continuano a crescere, mentre le decisioni si confrontano con opzioni e sempre più articolate e budget e responsabilità in espansione.

Lo stesso ragionamento si applica a ogni funzione aziendale, che sia Sales, Procurement, HR. Nel mondo della finanza, ad esempio, c’è bisogno di soggetti che guidino gli imprenditori e i direttori finanziari tra gli intermediari tradizionali e le opportunità nate col fintech, come crowdfunding, piattaforme di landing, factoring, e poi business angels, venture capital, private equity, club deals. Questi ultimi non riguardano più solo le PMI e le start up, ma anche le grandi aziende, che si tuffano sempre più spesso in programmi di open innovation e quindi si confrontano su temi finanziari, e quindi poi, fiscali e amministrativi, a 360 gradi.

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