Talent management

Guerra dei talenti: è tempo di individuare e valorizzare i professionisti all’interno delle aziende

Di quali talenti ho bisogno? Di quanti? Come faccio a passare dalle nuove alle vecchie competenze? A quale costo? In quanto tempo? In un momento in cui è più difficile trovare competenze chiave in un mercato ipercompetitivo, è necessario pensare a una nuova strategia che punti su mobilità interna e reskilling

Pubblicato il 16 Apr 2021

Federico Francini

Managing Director, Workday Italia

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Può sembrare fuori luogo parlare, in piena pandemia, della necessità urgente di ridurre il divario di competenze e skills o di guerra dei talenti, quando numerose attività in vari settori stanno soffrendo enormemente per la crisi in atto. Molti dipendenti vivono con la paura di perdere il lavoro e parecchie aziende si stanno dimostrando resilienti: in questo periodo di stop & go, tutti stanno tenendo duro, soffrendo, in attesa di uscire da questa situazione. Tuttavia, due fattori vanno presi in considerazione. Innanzitutto, alcuni settori stanno andando molto bene, sono in piena crescita, fanno fatica a trovare professionalità da assumere e contendendosi i “rare skill”, cioè quelle competenze rare, difficili da reperire. In secondo luogo, le crisi sono spesso delle opportunità per i talenti migliori, qualunque sia il campo di attività, c’è una mobilità di queste risorse molto maggiore rispetto a prima del lockdown. Da questo punto di vista, quella ch viene definita “la guerra dei talenti” non è terminata; la crisi le ha dato un nuovo volto. Per i dipartimenti delle risorse umane, di fronte a sfide senza precedenti, questo è un fatto rivelatore: questa battaglia si combatte davvero oggi, e nel cuore stesso della propria azienda.

La guerra dei talenti, un problema che è diventato interno all’azienda

Il tempo di un mondo nuovo in cui il telelavoro diffuso reinventerebbe la guerra dei talenti da cima a fondo, non è ancora arrivato. Nel bel mezzo della crisi sociale ed economica del coronavirus, la competizione organizzata intorno alla domanda e all’offerta di risorse esterne all’azienda non è più rilevante per molti. Eppure, più che mai, la ricerca del talento imperversa, ma in un senso che deve essere ridefinito: come soggetto interno all’azienda.

In molti paesi, il piano di rilancio e altri aiuti statali non nasconde l’ondata mondiale di piani di ristrutturazione nei grandi gruppi in alcuni settori. Ma di fronte a queste strategie economiche, la questione per i dipartimenti delle risorse umane è ancora più pressante: quali talenti devono essere mantenuti e valorizzati per garantire che la ristrutturazione non sia accompagnata da una perdita di conoscenze e competenze chiave, che sarebbe dannosa per il futuro dell’azienda?

Inoltre, questo non è un problema specifico delle politiche di disinvestimento. Quando un’azienda rialloca le proprie attività in una nuova geografia o nel digitale, si pone le stesse domande: di quali talenti ho bisogno? Di quanti talenti ho bisogno? Come faccio a passare dalle nuove alle vecchie competenze? A quale costo? In quanto tempo? In un momento in cui molti si sono resi conto che sarebbe molto difficile trovare queste competenze chiave in un mercato ipercompetitivo, è davvero una questione di mobilità interna e di reskilling.

Questa è infatti la nuova faccia del fenomeno: una guerra interna dei talenti per identificare le competenze da mantenere e quelle da aggiornare, contro quelle che potrebbero essere esternalizzate o trascurate.

Più che mai, i responsabili delle risorse umane hanno il dovere di fare il punto della situazione

Quando si devono accompagnare cambiamenti così brutali, la conoscenza dei talenti dell’azienda diventa una questione cruciale. Quanti talenti? Quanti talenti? Quanto costerà? La maggior parte dei responsabili delle risorse umane oggi fa fatica a dare le risposte a queste domande. E con buona ragione: le informazioni non sono disponibili e i dati sono talvolta molto difficili da ottenere, aggregare e rendere coerenti in tutta l’azienda. Inoltre il talento spesso è una potenzialità che va identificata, espressa, sviluppata, valorizzata aggiornata e potenziata.

In termini di conoscenza organizzativa e “inventario” dei talenti, le mappe delle competenze e altri “framework delle competenze” che hanno prevalso negli ultimi anni non sono più adeguate: sono il più delle volte troppo complesse, difficili e costose da mantenere, e molto raramente generalizzate all’intera organizzazione, sia dal punto di vista della popolazione target che delle competenze o abilità coperte. Oggi, invece, la questione fondamentale che riguarda molti settori di attività è l’inventario su larga scala delle capacità e delle competenze possedute dall’azienda, non solo per un singolo gruppo di dipendenti.

Questo lavoro di inventario è imperativo per organizzare finalmente una vera mobilità interna alle aziende. E per affrontare altri progetti come una riflessione strategica sulla formazione o sull’esperienza dei dipendenti. Ma anche lo sviluppo di nuove competenze, che prima non esistevano o che non erano così importanti come oggi: se la resilienza e la flessibilità cognitiva sono, per esempio, delle soft skills che le aziende faticano ad acquisire, come si possono apprezzare e valutare?

Al centro dell’organizzazione e della gestione delle competenze, il dipartimento HR è in prima linea in questa analisi, ricerca e valorizzazione dei talenti. Anche se i progetti non mancano, sono convinto che preparare il futuro e spostare l’azienda in un mondo post-Covid non sia l’ultima delle sfide HR.

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