In un mondo del lavoro in cui inclusione e diversità sono entrate a pieno titolo tra le dimensioni principali di gestione delle risorse umane, la figura del Disability Manager emerge come una risorsa chiave per le aziende che vogliono valorizzare il potenziale di tutti i dipendenti, indipendentemente dalle loro abilità fisiche o cognitive. Ma chi è esattamente il Disability Manager e perché è così importante per le organizzazioni? Ne abbiamo parlato con Valentina Mari, Disability Manager di Fondazione La Comune, che lavora nell’ambito del verde, con due negozi di piante e fiori in cui promuove una vita indipendente per persone con disabilità intellettiva: «Si tratta di una figura ancora poco diffusa nelle aziende private, ma obbligatoria per le Pubbliche Amministrazioni con più di 200 dipendenti e, di fatto, per tutti i datori di lavoro pubblici, a seguito dell’estensione prevista dalla Legge Delega in materia di disabilità (227/2021) in cui viene espressamente nominato il Disability Manager all’articolo 2».
Who's Who
Valentina Mari
Disability Manager di Fondazione La Comune
Indice degli argomenti
Chi è il Disability Manager e quali sono le sue competenze
Entrando più nel dettaglio, in generale si occupa di promuovere l’accessibilità e l’inclusione nei luoghi di lavoro delle persone con disabilità.
«Quello che caratterizza il Disability Manager è la trasversalità – racconta Mari -. Attraverso interventi pratici e mirati, lavora al fianco di team HR, manager e staff per trasformare gli spazi di lavoro in luoghi dove ogni individuo possa sentirsi valorizzato e partecipe, seguendolo in tutto il percorso lavorativo, dalla selezione all’inserimento, al processo di crescita e di carriera. Si potrebbe dire che è un “facilitatore” sotto diverse sfaccettature. In primis, risponde alle necessità della persona con disabilità e al contempo favorisce la creazione delle condizioni al contorno che consentono di lavorare nel modo migliore. Inoltre, aiuta ad andare oltre i bias che fanno vedere la disabilità solo come un limite: si tratta di una condizione oggettiva e questo non vuol dire precludere la possibilità di essere considerati una risorsa al pari degli altri, però per esserlo bisogna a volte introdurre dei piccoli accorgimenti che la aiutino a superare la difficoltà intrinseche e abbattere le barriere che non sono solo fisiche, ma anche culturali, che nascono spesso dalla paura della relazione con chi è diverso da noi e del non saperla gestire, fino, in alcuni casi, a un immotivato imbarazzo a doversi relazionare».
Vista la natura di questo ruolo, le competenze sono molteplici e interdisciplinari: spaziano dalla conoscenza approfondita delle normative vigenti in tema di diritti delle persone con disabilità, alla capacità di gestire progetti e persone e di valutare e implementare, con il supporto degli altri dipartimenti, le migliori soluzioni tecnologiche e strutturali che facilitino l’integrazione lavorativa. E poi non possono mancare le soft skill. Un’eccellente capacità comunicativa completa il profilo di questa figura, essenziale per mediare tra le esigenze degli individui e gli obiettivi aziendali. «Chiaramente aiuta anche avere una certa attitudine – ribadisce Mari -. E la sensibilità che serve è quella di “un’apertura relazionale” in quanto anello di congiunzione tra la persona con disabilità e l’azienda. Lo strumento principale è quello dell’accomodamento ragionevole che esiste per legge, che in pratica consiste nel trovare il modo per rispondere ai bisogni degli individui senza gravare in maniera eccessiva sull’azienda».
Al momento non esiste un percorso di studi ad hoc da seguire, ma diversi istituti – tra cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la Sapienza di Roma – propongono dei corsi di formazione. Non esiste ancora un albo professionale, ma c’è l’associazione FE.D.MAN (Federazione Disability Management) con oltre cento soci, ovvero professionisti che si occupano di inclusione delle persone con disabilità, che hanno raggiunto un minimo di 80 ore di formazione.
Il ruolo del Disability Manager nelle aziende
Tirando le fila, quindi, nel tessuto aziendale, il Disability Manager agisce come un catalizzatore di cambiamento e innovazione. La sua presenza è strategica non solo per garantire il rispetto della normativa in favore dei lavoratori con disabilità, ma anche per promuovere una cultura aziendale più inclusiva. A questo professionista si richiede di lavorare a stretto contatto con i dipartimenti HR per individuare le necessità specifiche dei dipendenti con disabilità e sviluppare piani personalizzati che ne favoriscano l’inserimento e la crescita professionale. Il suo intervento contribuisce a trasformare l’ambiente di lavoro in uno spazio aperto a tutti, migliorando la qualità della vita degli impiegati e incrementando, di conseguenza, la loro produttività, e a stimolare anche un dialogo costruttivo sulla cultura dell’inclusione che può innescare innovazione e sviluppo in tutte le aree aziendali.
Perché è una figura chiave per l’inclusione
Introdurre il Disability Manager all’interno delle strutture aziendali significa fare un passo significativo verso l’inclusione reale, perché stimola l’intera organizzazione a pensare in termini di diversità come valore aggiunto. «Il talento può manifestarsi in forme differenti, e la diversità, se intesa nel modo giusto, può diventare un elemento di arricchimento per l’organizzazione e per i team di lavoro. Cosa di cui gradualmente si stanno rendendo conto le aziende italiane, società Benefit e B-Corp in primis, che già oggi inseriscono il Disability Manager nel loro bilancio di sostenibilità. Un’attenzione crescente che stimola anche la nascita di iniziative, agevolazioni (come le tante che promuove la Regione Lombardia) e bandi (tra cui quello di Unioncamere) che incentivano l’assunzione di persone con disabilità».
Esempi pratici di intervento del Disability Manager
Nella pratica quotidiana, l’intervento del Disability Manager può variare ampiamente a seconda delle specificità aziendali. Ad esempio, può occuparsi della progettazione di spazi lavorativi accessibili, dalla scelta di arredi ergonomici alla configurazione di software e hardware specializzato per impiegati con limitazioni visive o motorie. Un altro ambito d’intervento può essere la formazione sui temi dell’inclusione e dell’accessibilità, così come lo sviluppo di politiche aziendali che supportino flessibilità oraria o telelavoro per persone con esigenze particolari.
«Nella nostra Fondazione 5 su 13 dipendenti sono persone con disabilità intellettiva. Una persona, tra l’altro una delle prime a essere assunte, fino a poco tempo fa quando arrivava a lavoro non si ricordava quello che doveva fare; spettava a noi doverglielo ricordare. Così, abbiamo introdotto una lavagna su cui sono riassunte tutte le attività, anche con l’ausilio di immagini. Questo strumento, per quanto semplice, non solo oggi la supporta, rendendola più autonoma, ma ha agevolato il lavoro dei colleghi. Per tutti abbiamo invece approntato un sistema di bollini colorati che indicano se la pianta va messa all’interno o all’esterno, se ci vuole tanta acqua o poca acqua, tanta luce o poca luce. I bollini sono stati ideati per semplificare il lavoro dei giovani con disabilità, ma si sono rivelati uno strumento che ha agevolato anche tutti gli altri, dai volontari ai clienti. Questo è un esempio di “progettazione universale”, in cui si agisce pensando a tutte le persone che avranno bisogno di quella specifica soluzione, facilitando così per tutti la sua fruizione», ha concluso Mari.