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Parità di genere in azienda: cos’è, le certificazioni e la normativa che la tutela



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A che punto siamo in termini di gender equality sul lavoro? Alcuni studi dimostrano che per colmare il gap c’è ancora molta strada da fare, ma gli esempi positivi ci sono e dimostrano che un impegno in questi termini non solo è doveroso, ma anche una leva di business sostenibile

Pubblicato il 31 gen 2024

Federica Meta

Giornalista professionista



parità di genere

Il gender gap è un tema complesso e tutt’altro che risolto, lavorativamente parlando, purtroppo, la strada per la parità di genere è ancora lunga, ma sono molti gli studi che certificano come le aziende che hanno messo in campo piani d’azione per garantirla raggiungano maggiori profitti, tutelando al contempo il benessere delle persone.

Secondo lo studio di McKinsey, “Diversity Matters Even More”, che ha censito oltre 1200 aziende di 23 Paesi, le organizzazioni che hanno una presenza di donne superiore al 30% a livello di top management raggiungono risultati finanziari più alti rispetto a quelle in cui è ancora presente il gender gap. Inoltre, quelle con una maggiore rappresentanza femminile nei cda hanno il 27% di probabilità in più di produrre una performance migliore rispetto ai competitor. E ancora l’80% delle aziende che performano meglio nei mercati di riferimento ha almeno una donna nel loro team esecutivo.

Al contrario le aziende con livelli di diversity più bassi hanno in media il 66% di probabilità in meno di produrre risultati soddisfacenti a livello finanziario

In sostanza, più donne ci sono al vertice, meglio va l’azienda.

Cos’è la parità di genere e stato dell’arte

La parità di genere è un diritto fondamentale, affermato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite che si riferisce all’assenza di ostacoli per la pari dignità e uguali condizioni tra uomini e donne nel diritto, nella politica, nella società o nel lavoro.

La parità di genere è anche l’Obiettivo 5 dell’Agenda Onu 2030 che si propone di eliminare ogni forma di discriminazione e violenza per tutte le donne, di tutte le età, così come pratiche quali i matrimoni precoci o forzati e le mutilazioni genitali.

L’Obiettivo punta alla parità tra tutte le donne e le ragazze nei diritti e nell’accesso alle risorse economiche, naturali e tecnologiche, nonché alla piena ed efficace partecipazione delle donne e alla pari opportunità di leadership a tutti i livelli decisionali politici ed economici.

Tuttavia, come evidenzia il Global Gender Gap Report del World Economic Forum ci vorranno almeno 169 anni per colmare il divario di genere nella partecipazione economica. A frenare la marcia verso la parità soprattutto fattori culturali che si traducono poi in disuguaglianze “concrete” come il gap salariale, la scarsa presenza femminile ai vertici delle organizzazioni, ma anche la mancanza di adeguate azioni per garantire il work-life balance.

Per dare una spinta alla parità di genere in azienda in Italia è stato adottato il “Sistema di certificazione della parità di genere” mirato ad accompagnare e incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree più critiche per la crescita professionale delle donne.

Come misurare la parità di genere in azienda: la certificazione UNI Pdr 125:2022

Il “Sistema di certificazione della parità di genere” UNI Pdr 125:2022 è un intervento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) a titolarità del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri che definisce le linee guida per il raggiungimento della parità di genere in azienda.

Disciplinata dalla legge n. 162 del 2021 (legge Gribaudo) e dalla legge n. 234 del 2021 (legge Bilancio 2022), la certificazione ha inoltre l’obiettivo di assicurare una maggiore qualità del lavoro femminile, promuovendo la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese, riducendo il “gender pay gap” e aumentando le opportunità di crescita in azienda e tutelando la maternità.

Come si ottiene la certificazione

La prassi di riferimento UNI Pdr 125:2022, prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – Indicatori chiave di prestazione) e individua 6 Aree da monitorare. Per ognuna di queste aree è assegnato uno specifico peso percentuale, per un totale di 100. Per poter ottenere la certificazione bisogna raggiungere un punteggio minimo del 60%:

  • Cultura e strategia: le aziende dovranno verificare che principi e obiettivi di inclusione, parità di genere e attenzione alla gender diversity dell’organizzazione siano coerenti con la sua visione, le finalità e i valori che caratterizzano l’ambiente di lavoro;
  • Governance: è necessario prevedere una valutazione del modello di governance dell’organizzazione che deve tutelare la presenza di adeguati presidi organizzativi, del genere di minoranza negli organi di indirizzo e controllo dell’organizzazione, nonché di processi volti a identificare e rimediare a qualsiasi evento di non inclusione;
  • Processi HR: si deve tenere sotto controllo il grado di maturità dei principali processi relativi ai diversi stadi che caratterizzano il ciclo di vita di un lavoratore/lavoratrice nell’organizzazione basati su principi di inclusione e rispetto delle diversità;
  • Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda: verifica delle possibilità di accesso ai percorsi di carriera e di crescita interni e la relativa accelerazione;
  • Equità remunerativa per genere: le aziende dovranno verificare il grado di maturità dell’organizzazione in relazione al differenziale retributivo in logica di total reward (compresi i compensi non monetari quali sistemi di welfare e well-being);
  • Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro: devono essere presenti politiche a sostegno della genitorialità nelle diverse forme e l’adozione di procedure che facilitino e supportino la presenza anche di donne con figli e figlie in età prescolare.

La certificazione può essere rilasciata solo dagli organismi certificati da Accredia, Ente pubblico di accreditamento. Il certificato ha una validità di 3 anni ma sono previsti degli step intermedi annuali di verifica.

Per le piccole, medie e micro imprese sono previsti contributi sia a supportare servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione sia a sostenere i costi di certificazione.

I vantaggi per le aziende

La Legge Gribaudo stabilisce che alle aziende in possesso della certificazione della parità di genere sia concesso un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa. Inoltre alle aziende riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.

Nei bandi di gara, le amministrazioni aggiudicatrici terranno conto dei criteri premiali a favore delle aziende in possesso della certificazione.

La direttiva europea sulla parità retributiva

Il tema della parità di genere in azienda passa anche per l’equità retributiva. In Europa le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario medio pari al 13%. Ciò significa che, per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna riceve solo 0,87 euro.

Secondo gli ultimi dati Eurostat, in Italia il gap medio è pari al 5%, ben al di sotto della media Ue del 13%. Invece quello complessivo – ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini – è pari al 43%, al di sopra della media europea del 36,2%.

Per colmare il gender pay gap la Ue ha varato la nuova legislazione sul divario retributivo tra i generi – la direttiva 2023/70 – che imporrà alle imprese europee, sia del settore pubblico sia di quello privato, di divulgare informazioni che agevolino il confronto degli stipendi dei dipendenti e la denuncia delle differenze esistenti. Le norme sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue lo scorso maggio e gli Stati membri avranno tempo fino al 7 giugno 2026 per adeguarsi.

Cosa prevede la direttiva 2023/70

È vietato il segreto salariale: lavoratori e rappresentanti sindacali avranno il diritto di ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi individuali e medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. I lavoratori potranno divulgare informazioni sul loro stipendio o chiedere informazioni in merito ad esso o rispetto alle altre categorie di lavoratori.

È, altresì, obbligatoria la trasparenza retributiva prima dell’assunzione: i candidati a un impiego avranno il diritto di ricevere, dal potenziale datore di lavoro, tutte le informazioni sullo stipendio iniziale. I datori di lavoro dovranno provvedere affinché gli avvisi di posto vacante e i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio, così da non compromettere il “diritto alla parità di retribuzione”.

Inoltre, i datori di lavoro saranno tenuti a fornire informazioni su quanto corrispondono alle donne e agli uomini per un lavoro di pari valore e a intervenire, se il divario retributivo di genere supera il 5%.

Gli Stati membri dovranno adoperarsi e adottare le misure per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

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