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Programmi di reskilling: 5 considerazioni per mettere in pratica una strategia a prova di AI



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Il mondo del lavoro sta cambiando, l’ondata di Intelligenza Artificiale Generativa che stiamo vivendo ha accelerato notevolmente i processi e ci si chiede come le aziende possano reagire per rimanere competitive. Esistono alcuni suggerimenti in merito, sperimentati già con successo da aziende di diversi settori

Pubblicato il 4 ott 2023



Reskilling e AI

L’Intelligenza Artificiale promette di cambiare il modo in cui oggi si svolgono diverse attività sul lavoro. Le organizzazioni stanno monitorando il fenomeno e si interrogano sul da farsi. Ma si diffonde una consapevolezza: serve continuare a investire e intensificare i programmi di reskilling. Solo così è possibile trarre vantaggio dalle nuove tecnologie e generare valore per i dipendenti.

Nell’ambito di un lavoro condotto presso il Digital Data Design Institute del Digital Reskilling Lab di Harvard e del BCG Henderson Institute, un gruppo di analisti ha individuato 5 spunti di riflessione che stanno emergendo quando si parla di reskilling, che le aziende dovranno comprendere e abbracciare se vogliono riuscire ad adattarsi dinamicamente all’era in rapida evoluzione dell’automazione e dell’AI.

La via per cogliere le potenzialità dell’AI

Era il 2019 quando l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha dichiarato che le nuove tecnologie di innovazione avrebbero sostituito il 14% dei posti di lavoro nel mondo e trasformato un altro 32%, entro 15/20 anni. Questi numeri coinvolgevano già 1 miliardo di persone e ancora non erano arrivate ChatGpt e l’ondata di AI Generativa che stiamo vivendo oggi.

Se prima queste tecnologie si limitavano a svolgere compiti meccanici e ripetitivi, al momento sono in grado di compiere attività basate sulla conoscenza, come la ricerca, la codifica e la scrittura, che erano fin ora state appannaggio esclusivo dell’essere umano. La conseguenza di queste nuove tecnologie sulla domanda delle competenze è notevole e per questo diventa fondamentale parlare di reskilling e sapere come muoversi in merito.

Il quadro presentato non deve allarmare, non significa che ci sarà un’ondata di licenziamenti a causa dell’AI, ma sicuramente molti professionisti dovranno ripensare il proprio lavoro alla luce dell’Intelligenza Artificiale e scoprire nuovi campi di applicazione delle loro competenze, che per rimanere competitive devono essere ricalibrate. L’upskilling non sarà però sufficiente: sono necessari veri e propri programmi di reskilling.

Reskilling nell’era dell’AI: 5 considerazioni per definire una strategia a livello aziendale

Il parere di Mariano Corso, Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell’Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation, sul tema riassume bene il quadro che si sta delineando:

«Affascinati, o forse “abbagliati”, dagli sviluppi di ChatGPT e delle altre applicazioni di Generative AI, molti si illudono che basti attendere che le tecnologie siano sufficientemente mature per automatizzare le attività e sostituire i lavoratori “tradizionali”. La realizzazione di un vecchio sogno di molti manager e imprenditori: un sistema produttivo finalmente libero da gran parte dei lavoratori, non soltanto colletti blu questa volta, ma anche lavoratori della conoscenza! Per creare l’organizzazione del futuro basterebbe quindi comprare tecnologie e poi acquisire sul mercato le professionalità innovative necessarie per farle funzionare! Questo approccio, oltre che eticamente sbagliato, è destinato a fallire perché, proprio nell’era dell’AI, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗶 𝗽𝘂𝗼̀ 𝗰𝗿𝗲𝗮𝗿𝗲 𝗹’𝗼𝗿𝗴𝗮𝗻𝗶𝘇𝘇𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗱𝗼𝗺𝗮𝗻𝗶 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗶𝗻𝘃𝗲𝘀𝘁𝗶𝗿𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶! Il reskilling dei lavoratori oggi non è solo un tema di responsabilità sociale, ma l’unica People Strategy sensata per almeno 3 motivi fondamentali: 1) la scarsità di offerta di skill innovative sul mercato dei talenti; 2) la necessità di riprogettare processi e servizi a partire da una conoscenza approfondita della realtà attuale; e 3) l’esigenza di gestire il cambiamento ingaggiando le persone per farne evolvere i comportamenti. Serve quindi un approccio diverso, una strategia people first che parta dalle persone e miri alla piena valorizzazione del loro potenziale. Una sfida epocale per le Direzioni HR, che non possono essere lasciate sole a guidare questo grande sforzo di Change Management, la cui priorità deve essere condivisa dal CEO e da tutte le line of business!».

Who's Who

Mariano Corso

Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell'Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation

Mariano Corso

Sugli stessi presupposti si è mossa la ricerca del Digital Data Design Institute e ha individuato 5 riflessioni importanti da cui le aziende che mettono in atto programmi di reskilling non dovrebbero prescindere.

1: Il reskilling è un imperativo strategico

I risultati della ricerca suggeriscono che la maggior parte delle aziende ha capito l’importanza strategica del reskilling. Il mercato del lavoro sta profondamente cambiando ed è sempre più condizionato dall’invecchiamento della popolazione attiva, dall’emergere di nuove professioni e dalla crescente necessità per i dipendenti di sviluppare competenze specifiche. Solo le aziende che metteranno in atto il reskilling saranno in grado di costruire un vantaggio competitivo, sviluppando talenti non facilmente reperibili sul mercato del lavoro e colmando le lacune di competenze utili al raggiungimento degli obiettivi strategici in anticipo rispetto ai concorrenti.

Gli esempi di grandi aziende che hanno adottato questo approccio sono numerosi, tra queste è significativa l’esperienza di Amazon che con la sua Machine Learning University ha permesso a migliaia di dipendenti di diventare esperti nel settore AI.

Altre aziende permettono e incoraggiano i loro dipendenti a riqualificarsi per ruoli di loro interesse. Ne rappresenta un esempio McDonald’s: coloro che lavorano nei ristoranti hanno accesso a un’applicazione chiamata Archways to Opportunity che abbina le competenze apprese sul lavoro con i percorsi di carriera in azienda o in altri settori.

Il reskilling diventa per altre aziende un’opportunità per attingere a un pool di talenti più ampio. La ICICI Bank di Mumbai, con oltre 130mila dipendenti, gestisce programmi di reskilling per preparare dai 2500 ai 4000 neolaureati a svolgere lavori manageriali.

2: Il reskilling è responsabilità di ogni leader e manager

La formazione aziendale è da sempre prerogativa del reparto HR delle organizzazioni e il suo fallimento o successo è misurato in maniera piuttosto ristretta. È vero che gli investimenti di reskilling richiedono un grande sforzo da parte delle Risorse Umane, ma per avere successo è necessario che siano sostenute anche dai manager e addirittura da CEO e Direttori Operativi.

È importante che siano le figure di maggior responsabilità a illustrare a tutti, soprattutto alla leadership, l’importanza strategica del reskilling. Un esempio concreto di questo concetto è stato messo in atto da Ericsson. La compagnia ha sviluppato una strategia pluriennale dedicata all’upskilling e al reskilling secondo la quale le competenze critiche vengono sistematicamente ridefinite e aggiornate grazie a programmi di accelerazione, percorsi di qualificazione e trasferimenti di competenze. Questi programmi sono per la maggior parte volti a trasformare gli esperti di telecomunicazioni in esperti di AI e Data Science. Questo progetto è considerato così strategico che i manager lo esaminano con cadenza trimestrale, il risultato ad oggi è stato la formazione di più di 15mila dipendenti in ambito di Intelligenza Artificiale e Automazione.

3: Il Reskilling è un’iniziativa di gestione del cambiamento

È importante che, per attuare programmi di reskilling ambiziosi, le aziende facciano molto più che formare i dipendenti: devono creare un contesto organizzativo favorevole al successo e devono garantire la giusta mentalità e i comportamenti adatti tra i dipendenti e i manager. Ecco perché possiamo dire che le attività di reskilling sono simili a quelle di gestione del cambiamento. A tal proposito, l’azienda deve agire su diversi fronti:

Comprendere la domanda e l’offerta

È importante che le aziende siano a conoscenza delle competenze interne ed esterne disponibili (l’offerta) e di quelle necessarie a battere la concorrenza (la domanda). È utile creare una “tassonomia delle competenze” per mappare le capacità necessarie a svolgere ogni attività in azienda. Per farlo è possibile affidarsi ad aziende esterne, ne è un esempio SAP che collabora da poco con Lightcast per mantenere il proprio database di competenze costantemente aggiornato.

Ma non solo, le competenze che richiedono di essere determinate da parte dei leader sono anche quelle future. Allianz traduce regolarmente le previsioni di crescita del business in domanda di talenti, stabilendo il numero di persone necessarie alle varie mansioni e quali competenze richiederanno.

Reclutamento e valutazione

I candidati non devono essere più considerati solo in base ai loro titoli di studio o alla loro esperienza lavorativa, ma anche e soprattutto in base alle competenze. Novartis ha implementato un mercato interno di talenti, alimentato dall’AI, in grado di prevedere, abbinare e fare proposte correlate alle competenze e agli obiettivi dei dipendenti.

Modellare la mentalità dei middle manager

I middle manager sono spesso restii al reskilling dei propri team, sia perché temono che i loro collaboratori non sarebbero in grado di mantenere le loro responsabilità durante la formazione, sia perché una volta riqualificati dovrebbero trasferirsi in altre aree aziendali. Per questo motivo tendono a tenersi stretti i propri collaboratori migliori, negando loro la partecipazione a questi programmi.

La soluzione di diverse aziende come Wipro e Amazon è rendere lo sviluppo dei talenti una responsabilità manageriale.

Costruire competenze nel flusso di lavoro

L’approccio migliore per proporre il reskilling ai dipendenti è quello di fare più formazione possibile attraverso incarichi di affiancamento, apprendistato interno e periodi di prova, piuttosto che attraverso metodi tradizionali di tipo “scolastico”. ICICI Bank ha istituito una residenza professionale di 4 mesi, durante la quale i dipendenti partecipano a una formazione simulativa del ruolo manageriale che vorrebbero ottenere, corredata da un impiego sul campo di 8 mesi in affiancamento a un manager in carica.

Abbinamento e integrazione dei dipendenti

La ricerca ha dimostrato che se i ruoli di destinazione sono descritti in anticipo e in modo preciso, i dipendenti sono più interessati a riqualificarsi, senza contare che il reskilling stesso diventa più efficace, perché più mirato.

Una volta inseriti nel nuovo lavoro, è necessario che i dipendenti abbiano il supporto necessario per integrarsi con successo. A questo proposito, coaching e mentoring rappresentano risposte efficaci: Amazon gestisce programmi di mentoring per dipendenti riqualificati, tra cui un sistema di buddy. Inoltre, l’azienda offre percorsi di coaching di carriera per i dipendenti che affrontano transizioni particolarmente impegnative.

4: I dipendenti vogliono qualificarsi, ma solo quando ha senso

Molte delle aziende intervistate hanno dichiarato che una delle maggiori sfide è convincere i dipendenti a intraprendere percorsi di reskilling. Questo perché si tratta di un processo che richiede un grande sforzo, grandi cambiamenti e il risultato non è garantito.

I dati di BCG dimostrano che il 68% dei lavoratori è consapevole dei cambiamenti nel proprio settore ed è disposto a riqualificarsi per rimanere competitivo. Ciò che è fondamentale è trattare i dipendenti con rispetto e rendere chiari i vantaggi che ne possono trarre. Per farlo è possibile attuare delle best practice:

  • Trattare i dipendenti come partner: spesso i programmi di reskilling sono associati a problemi organizzativi, cambiamenti o perdite di lavoro e per questo i manager evitano di parlarne. In realtà, i dipendenti sono più propensi a parteciparvi se comprendono i motivi per cui vengono messi in atto. Secondo le aziende intervistate, nell’intraprendere questi percorsi, è importante allinearsi con i consigli dei lavoratori e i sindacati.
  • Progettare i programmi dal punto di vista dei dipendenti: è importante ridurre i rischi, i costi e gli sforzi dei dipendenti e fornire loro risultati garantiti (o quasi). Amazon, ad esempio, permette ai dipendenti del programma Career Choice di conseguire certificati, e addirittura lauree, coprendo tutti i costi in anticipo e questo modello si è già rivelato ampiamente efficacie.
  • Dedicare tempo e attenzione adeguati al programma: il reskilling è un cambiamento importante che richiede tempo e spazio mentale necessari ad avere successo. Bosch, con il programma Mission to Movie, che aiuta gli ingegneri a formarsi in settori emergenti, copre i costi delle lezioni e del tempo dedicato ad esse per due giorni a settimana, per un anno.

5: I programmi di reskilling richiedono un ecosistema di supporto

La sfida del reskilling non riguarda solo le organizzazioni e non sono loro che da sole possono mettere in atto programmi efficaci. È necessario che vi sia un ecosistema di supporto, formato da diversi attori, e a tal proposito sono state individuate azioni utili:

  • Considerare le partnership industriali: le aziende potrebbero unirsi per condurre sforzi di formazione congiunti, invece di considerarsi come concorrenti per un bacino di talenti limitato. Ad esempio, sarebbe utile creare tassonomie a livello di settore, per mettere in comune le conoscenze e le risorse necessarie ad investire su alcune capacità e mettere in atto programmi comuni, ad esempio in ambito di reskilling e AI. Queste coalizioni rassicurerebbero anche i dipendenti sul fatto che i loro investimenti in apprendimento potrebbero aprire opportunità future più ampie. Ne è un esempio l’Automotive Skills Alliance, un progetto nell’UE che si occupa di formazione e aggiornamento dei lavoratori nel settore automotive.
  • Collaborare con le organizzazioni non profit per raggiungere talenti diversi: molte di queste si impegnano nel reskilling di categorie sottorappresentate e questo potrebbe rappresentare per l’azienda un accesso a talenti e opportunità che siano vantaggiosi per entrambe le parti. Negli USA esistono diversi enti di questo tipo, ad esempio Year Up, dedicato ai giovani svantaggiati, dal 2011 ha inserito più di 40mila ragazzi in ruoli aziendali altrimenti impossibili da raggiungere.
  • Collaborare con le università e gli enti di formazione: in UK il governo finanzia Istituti di Tecnologia che riuniscono università e imprenditori per fornire una preparazione tecnica ai lavoratori senza un background in materia.

Se è vero che molte aziende comprendono la necessità di attuare programmi di reskilling per stare al passo incessante dell’evoluzione tecnologica, è anche vero che i loro sforzi sono ostacolati da due grandi limitazioni: manca il rigore nella misurazione e nella valutazione di ciò che funziona e manca l’informazione su come rendere generalizzabili e scalabili le caratteristiche dei programmi di reskilling di successo. Solo superando questi due ostacoli il reskilling potrà sviluppare tutto il suo potenziale.

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