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Come superare il Collaboration Overload e lavorare (bene) insieme



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Se analizzare il fenomeno richiede una complessa analisi a diversi livelli dell’organizzazione, capire quando, dove e come agire per creare un gioco di squadra efficace è altrettanto difficile. Ecco le strategie da adottare per evitare il “sovraccarico collaborativo”

Pubblicato il 30 giu 2023

Chiara Calafiore

“People & Innovation” Manager di P4I, Partners4Innovation

Matteo Ciccarese

Business Analyst di P4I – Partners4Innovation



Superare il Collaboration Overload

La capacità di lavorare insieme senza soluzione di continuità tra i team, di costruire da prospettive diverse e di combinare i punti di forza individuali, diventa fondamentale per affrontare sfide e cambiamenti ed alimentare l’innovazione. Le organizzazioni hanno da tempo riconosciuto i vantaggi della collaborazione ed investono in nuove tecnologie e piattaforme che facilitano la comunicazione e il lavoro di squadra. Queste soluzioni hanno innegabilmente portato a notevoli progressi, consentendo ai team di collaborare al di là dei confini organizzativi, geografici e temporali.

Tuttavia, le stesse organizzazioni sottovalutano spesso la potenziale conseguenza di una collaborazione che diventa sempre più pervasiva: il Collaboration Overload. Secondo alcuni studi, solo nell’ultimo decennio, il tempo medio dedicato dalle persone alle attività di collaborazione è aumentato del 50%, creando un flusso incessante informazioni e comunicazioni, che avvengono attraverso mail, chat, call e riunioni.

Le analisi di Microsoft pubblicate nell’ultimo report Work Trend Index confermano la diffusione di questo fenomeno, acuito in particolare dai cambiamenti epocali nelle modalità lavorative degli ultimi tre anni.

Le ricerche indicano che il Collaboration Overload, oltre a prosciugare il tempo che le persone dedicano alle attività individuali, porta ad una riduzione della capacità di concentrazione e all’aumento dei livelli di stress. Questi effetti possono tradursi concretamente per le organizzazioni in pesanti impatti negativi sulla capacità dei team di identificare e perseguire priorità strategiche, sulla capacità di generare innovazione e sui livelli di engagement dei dipendenti.

Analizzare le cause del Collaboration Overload

Recentemente, abbiamo discusso l’importanza di riconoscere il sovraccarico di collaborazione. Per affrontarlo, è necessario infatti analizzarne a fondo le cause, che possono trovarsi nella cultura organizzativa, così come nei modelli di leadership, nelle modalità di gestione e nei network che costituiscono l’organizzazione.

Agire a livello di cultura e leadership

Se è vero che manager e collaboratori trovano spesso facilmente dei presunti colpevoli del peso delle richieste di collaborazione sul loro lavoro, è altrettanto vero che tra quei colpevoli compaiono di rado aspettative e comportamenti che loro stessi contribuiscono a diffondere.

Spesso le persone creano involontariamente peso collaborativo tanto per gli altri quanto per se stesse, partecipando a meeting non necessari, fissando call per qualsiasi tipo di comunicazione o inserendosi in thread e-mail.

In effetti, le ricerche di Rob Cross rivelano che circa nel 50% dei casi il colpevole principale del Collaboration Overload sono attitudini e motivazioni individuali, come il desiderio di aiutare gli altri, di risolvere conflitti o di essere percepito come un buon contributore, o come l’ansia di perdere il controllo sui risultati di un progetto.

È per questo che agire su cultura e leadership è fondamentale per abilitare il cambiamento dell’organizzazione verso la collaborazione efficace. Senza questo passaggio, qualsiasi iniziativa strutturale rischia di avere effetti estemporanei. Occorrono perciò comunicazione, sensibilizzazione e formazione.

È necessario che i manager rivestano il ruolo di “coach“, prima ancora che di “capi”, forgiando in prima persona la cultura della collaborazione. È loro la responsabilità di promuovere e mettere in pratica in prima persona il rispetto del tempo e delle energie degli altri, ma anche l’attitudine alla sperimentazione di nuove modalità di collaborazione che possano beneficiare tutto il team. Non bisogna dimenticare però anche di condividere l’importanza di lavorare sull’empowerment delle persone: spesso è proprio per via di Manager restii a delegare che vengono a crearsi network sovraccaricati.

Occorre poi trasmettere alle persone da un lato l’importanza del tempo di concentrazione individuale per la produttività e della disconnessione, dall’altro il peso che una richiesta di collaborazione può avere sugli altri, e le modalità di comunicazione appropriate. Le stesse metriche degli strumenti di collaborazione, ad esempio, possono essere messe a disposizione delle persone per monitorare le proprie abitudini collaborative.

In una ricerca recente condotta da Asana, aver equipaggiato le persone con una dashboard con alcune metriche chiave – ad esempio, il numero di collaborazioni avviate durante la settimana – ha provocato un cambiamento nel modo di lavorare dei dipendenti, che hanno iniziato a cercare modi meno invasivi di coinvolgere i propri colleghi nelle attività.

Agire a livello di pratiche

Aspettative condivise e spirito di squadra non sono però sufficienti per collaborare davvero in maniera agile. Bisogna stabilire le regole del gioco: è importante cioè costruire norme e linee guida che l’organizzazione vuole darsi per definire un proprio “modo di lavorare insieme”. Il modo più efficace per farlo è coinvolgere direttamente manager e collaboratori nella co-progettazione delle pratiche collaborative.

Un punto di partenza nella progettazione può essere la pianificazione e la gestione delle riunioni. Insieme all’aumento dei meeting, dalla pandemia è emerso un altro trend parallelo: le persone tendono oggi a collaborare in maniera sempre più immediata e spontanea, utilizzando call e riunioni da remoto non programmate, ma spesso pervasiva e invasiva. Per evitare il Collaboration Overload, è necessario rimettere in discussione i criteri che guidano la scelta su come lavorare insieme, in funzione di scopo e oggetto delle attività da svolgere.

Strumenti per superare il Collaboration Overload

Il Collaboration Stack si rivela uno strumento particolarmente utile in questo senso. Esso aiuta infatti a mappare le attività collaborative rispetto ai diversi livelli di interazione: in presenza, ibrido, remoto, asincrono. In particolare, in un ambiente organizzativo digitale e ibrido, dove i riferimenti di spazio e tempo sono sempre più flessibili, il lavoro collaborativo tende naturalmente ad essere più asincrono.

Spesso questo rappresenta un elemento di preoccupazione per i manager, che vedono in una collaborazione più asincrona e remota il rischio di perdere quel potenziale creativo e innovativo che contraddistingue gli incontri faccia a faccia, i brainstorming davanti ad una lavagna o le conversazioni informali in ufficio. In realtà, la collaborazione asincrona, se ben gestita, favorisce la creatività nella misura in cui offre maggiore sicurezza psicologica ai membri del team nell’esprimere le proprie idee, specialmente a chi ha attitudine più introversa o fa più fatica a comunicare in gruppo.

Superare il Collaboration Overload, quali dimensioni considerare

La co-progettazione delle pratiche collaborative va comunque a toccare poi altre dimensioni della collaborazione, tra cui:

  • i canali di comunicazione e le modalità di coordinamento, ovvero quali linee guida regolano l’utilizzo di mail, chat, telefonate e video-call e come i team si allineano su attività e disponibilità dei colleghi (es. calendari condivisi);
  • l’utilizzo delle piattaforme di collaborazione, che supportano lo spostamento di alcune attività nella modalità asincrona;
  • la gestione dei picchi di lavoro e la disconnessione, per cui le pratiche condivise devono aiutare a chiarire aspettative, esigenze organizzative e personali, nel rispetto del tempo di tutti.

Agire a livello organizzativo

Slack Technologies – che sviluppa e distribuisce l’omonima piattaforma di collaboration – ha scoperto a fine 2021 che i manager dell’azienda avevano il doppio di probabilità rispetto ai propri collaboratori di non avere tempo in agenda per concentrarsi sul proprio lavoro.

Gli stessi manager rispondevano ai sondaggi interni affermando nel 48% dei casi di passare troppo tempo in riunione, rispetto al 22% indicato dai collaboratori. L’azienda ha quindi deciso di intervenire avviando due iniziative parallele: i Focus Fridays, per cui ogni venerdì non si tengono riunioni interne, e le Maker Weeks(due volte a trimestre), in cui si annullano tutte le riunioni ricorrenti per l’intera settimana e si incoraggia la collaborazione asincrona.

Sempre partendo dalla collaborative intelligence, Uber ha invece introdotto un’applicazione che supporta i dipendenti nel definire la quantità di tempo di concentrazione di cui hanno bisogno, ottimizzando quindi i loro calendari suggerendo spostamenti e gestendo le riunioni di conseguenza. Le esperienze di Slack e Uber sono esempi di azioni che possono essere messe in campo a livello organizzativo per anticipare e bloccare strutturalmente gli effetti del Collaboration Overload.

Altre organizzazioni scelgono di avviare iniziative per contrastare direttamente la proliferazione dei meeting. Alcuni mesi fa Shopify aveva annunciato una vera e propria “epurazione delle agende”, richiedendo l’annullamento permanente di tutte le riunioni ricorrenti con più di due persone e stabilendo il mercoledì come no-meeting-day.

Se la misura dell’azienda e-commerce canadese può apparire quasi draconiana, c’è chi si è spinto oltre, ma con perfetta cognizione di causa: è il caso di TechSmith, azienda provider di software per lo screen recording, che ha addirittura sperimentato un mese senza riunioni. L’esperimento ha però ha avuto risultati concreti: oltre ad un aumento del 15% nella produttività, in una survey di feedback l’85% della popolazione aziendale si è detta favorevole ad esplorare ulteriormente forme di collaborazione asincrona al posto delle riunioni.

Ma il dato più interessante è stato l’aumento dell’8% dell’importanza delle riunioni secondo i dipendenti. Per quanto apparentemente controintuitivo, questo dato costituisce in realtà un segnale di un cambio di mentalità da parte delle persone, che scelgono di fare riunioni solo quando ne hanno realmente bisogno.

Superare il Collaboration Overload sfruttando l’ONA

Le aziende come Golden Goose che sfruttano l’ONA (Organizational Network Analysis) hanno infine un’arma ulteriore per superare il Collaboration Overload: la progettazione organizzativa. Le mappature dei network generano infatti insight che consentono di riallineare la struttura organizzativa alle reali dinamiche di interazione tra i team. Grazie all’ONA, le organizzazioni possono in ultima analisi rendere più efficace la collaborazione in azienda attraverso la riprogettazione dei ruoli organizzativi, la ridistribuzione dei carichi di lavoro e la creazione di team interfunzionali.

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