STRATEGIE

Cambiamenti organizzativi: superare le resistenze creando un ponte tra leader e team



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Quando si parla di Change Management spesso viene sottovalutata la dimensione emotiva delle persone coinvolte. Chi guida la trasformazione si aspetta che tutti condividano il suo trasporto, senza pensare che la riluttanza è la reazione più naturale. Per coinvolgere i dipendenti bisogna mettersi in ascolto e comprendere i punti di vista

Pubblicato il 23 apr 2024

Angelo Larocca

Manager – Change Management di Methodos



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Da ormai diversi anni, mi piace condurre un piccolo esperimento all’inizio di ogni incontro chiedendo alle persone di condividere cosa sia per loro il cambiamento. Per chi si occupa di cambiamenti organizzativi mi sembra scontato che questo sia il punto di partenza. Tra le risposte più disparate, ce n’è una che mi è rimasta particolarmente impressa: il cambiamento è cambiamento. A prima vista può sembrare una risposta tautologica, una mossa di gran stile per uscire dall’impasse di non sapere cosa rispondere, ma è pur sempre vero che, come le famiglie tristi di Tolstoj, ogni cambiamento è cambiamento a modo suo.

Le 4 categorie dei cambiamenti organizzativi

Campbell Macpherson, autore ed esperto internazionale di Change Management, propone una classificazione dei cambiamenti in campo organizzativo che può essere utile come mappa su cui muoverci.

Dall’incrocio di due assi, dimensione del cambiamento e livello di controllo individuale, emergono, infatti, quattro diverse categorie:

  1. Adapt, piccoli cambiamenti in cui il livello di controllo delle persone è piuttosto ridotto. Sono quei cambiamenti che fanno parte della nostra vita quotidiana, e che possono riguardare procedure, spazi, e prassi aziendali;
  2. Growth, ovvero tutti i processi di crescita e sviluppo che decidiamo di avviare personalmente e su cui sentiamo di aviere il pieno controllo, come ad esempio fare attività fisica continuativa, perdere peso, o seguire un corso di formazione;
  3. Quantum Leaps, cambiamenti di vasta portata, che intraprendiamo con l’obiettivo di cambiare la nostra vita tanto in campo personale (cambiare casa, trasferirsi in un altro paese) quanto sul piano professionale (spostarsi in un’altra realtà aziendale, fare uno scatto di carriera);
  4. Burning Platform, il contesto di cambiamento più complesso, in cui a fronte di una trasformazione altamente pervasiva si ha la percezione, oggettiva o soggettiva, di un controllo pressoché assente.

Oltre a darci una guida per comprendere più a fondo i cambiamenti con cui potremmo avere a che fare, questa categorizzazione ci permette di evidenziare uno degli elementi che spesso viene sottovalutato quando si parla di Change Management: la dimensione emotiva delle persone coinvolte.

Un cambiamento, diverse prospettive

Pensate a tutte le volte che avete deciso di dare vita a un grande cambiamento, sia esso nella vostra vita professionale o personale: qual è stata la prima emozione che avete provato? Con tutta probabilità, avrete sentito il brivido della gioia che annunciava che una decisione era stata presa, e vi dava la spinta necessaria per andare oltre quel primo passo per costruire il futuro che avevate in mente. E la felicità, in tutte le sue declinazioni, è una delle emozioni che impariamo a riconoscere fin dall’infanzia come positiva, oltre a essere un’emozione estremamente socializzante: se sei felice e tu lo sai, non potrai fare a meno di condividerlo con tutte le persone che ti stanno attorno. Ed ecco allora che una persona in posizione di leadership che avvia un programma di cambiamento diventa il miglior sponsor che possiamo avere: sentirà dentro di sé il forte desiderio di condividere con tutta la popolazione aziendale le motivazioni per cui quel cambiamento sia davvero la svolta, quale sarà l’impatto trasformativo sul futuro dell’organizzazione, e si aspetterà che tutte e tutti condividano la sua euforia. Peccato, però, che la realtà sia ben diversa dall’immaginazione.

Proviamo a cambiare punto di vista, e ripensiamo a quando è avvenuto un cambiamento nella nostra vita su cui non abbiamo avuto alcun tipo di controllo. Già nel 1970, la rinomata psichiatra svizzera Elizabeth Kübler-Ross parlava di come, davanti a un evento luttuoso, la prima delle reazioni che proviamo sia uno stato di shock, in cui rifiutiamo quello che ci sta succedendo per poi negare che stia davvero accadendo. È importante sottolineare che anche un grande cambiamento organizzativo, come potrebbero essere l’acquisizione da parte di un’altra realtà o ristrutturazioni aziendali, presentano per noi la stessa dinamica di un lutto: non stiamo perdendo una persona cara, ma stiamo rinunciando a una parte della nostra identità professionale, e anche questo ha il suo bell’impatto sulla nostra psiche. Ecco spiegato quello che ogni persona che si occupa di Change Management ama ripetere come un mantra: la resistenza è la reazione più naturale al cambiamento.

Un ponte di mattoni gialli sul divario emotivo

Da un lato, leader che sprizzano gioia e fremono dalla voglia di diffonderla. Dall’altra, persone che si vedono riversare addosso un cambiamento dietro l’altro, travolte da un dilagante senso d’impotenza. Due fazioni che, a un primo sguardo distratto, possono apparire come contrapposte e con posizioni inconciliabili. Eppure, c’è un segreto condiviso tra tutte le persone che si occupano di Change Management, e che chiunque abbia attraversato con successo il campo del cambiamento conosce: in realtà, siamo tutte e tutti sulla stessa barca. Subito dopo il primo momento di euforia, le persone in posizione di leadership iniziano a vedere il proprio sogno andare incontro alla realtà, e l’euforia così parte una parabola discendente che, passando per apprensione e paura, potrebbe portare al rimorso. Chi invece “subisce” (le virgolette sono doverose) un cambiamento arriva a provare rabbia per la situazione che sta vivendo, e la paura per il futuro incerto può diventare paralizzante.

È in questo spazio apparentemente desolato e desolante che il ruolo di chi si occupa di persone deve farsi sentire. Un po’ come nel magico regno di Oz, dove la strada di mattoni gialli porta alla meraviglia della Città di Smeraldo, possiamo usare quegli stessi mattoni per costruire un ponte che colmi questo vuoto e che riconcili le parti. Ricordiamo a chi occupa una posizione di leadership che il modo più semplice per portarsi dietro le persone è ponendosi in posizione di ascolto, cercando di comprendere appieno il loro punto di vista e fornendo, laddove possibile, rassicurazioni sul futuro che li attende. Aiutiamo il resto della popolazione aziendale a cambiare il proprio punto di vista, concentrandosi sul valore aggiunto che il cambiamento può portare più che su quello che si teme di perdere, cogliendo opportunità per il proprio percorso professionale. Più facile a dirsi che a farsi? Possibile, ma non impossibile: perché è solo quando tutti i livelli della popolazione aziendale sono a bordo che si può davvero impostare la rotta per il futuro dell’organizzazione, al di là del mare del cambiamento.

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