La linea focalizzata sul tema dell’etica e della cultura digitale prende ossigeno da una ricerca portata avanti da un pool di più attori con al centro Unioncamere, la Fondazione Symbola e il Centro Studi Tagliacarne, una ricerca – ‘Coesione è competizione’ – che ci fornisce una chiave di lettura a suo modo rivoluzionaria. Quella che sinora era considerata una visione utopistica – il termine utopia nell’ambito economico non ha mai goduto di particolare fortuna – ci indica una nuova direzione per una economia attenta non solo all’aspetto economico, ma anche all’aspetto etico, relazionale, innovativo e di benessere generale.
Indice degli argomenti
I dati della ricerca, in sintesi, ci dicono che le imprese coesive corrono più veloci:
- Le imprese coesive italiane salgono al 44% nel 2024
- Esportano di più (il 55,3% contro il 42,3% delle non coesive)
- Fanno più eco investimenti (il 62,1% contro il 33,2% delle non coesive)
- Sono più ottimiste sul futuro (il 55,3% su 40%)
Cosa si intende per azienda coesiva
Un’azienda coesiva è un’impresa che, oltre alla sua attività principale, sviluppa strategie per rafforzare le relazioni con i propri dipendenti e con gli attori del suo ecosistema (altre imprese, clienti, enti non profit, istituzioni, ecc.). L’obiettivo è aumentare la competitività e l’innovazione, creando valore condiviso.
Caratteristiche principali di un’azienda coesiva:
- Forte orientamento alla relazione:
L’impresa coesiva investe in relazioni solide e durature con i propri stakeholder, sia interni che esterni. - Integrazione con il territorio:
L’azienda coesiva interagisce attivamente con il territorio in cui opera, contribuendo al suo sviluppo e partecipando alle sue dinamiche. - Benessere dei dipendenti:
L’impresa coesiva si preoccupa del benessere dei propri dipendenti, creando un ambiente di lavoro positivo e stimolante. - Sostenibilità:
L’azienda coesiva considera gli aspetti sociali e ambientali nella sua gestione, operando in modo responsabile e sostenibile. - Innovazione:
L’impresa coesiva cerca costantemente nuove soluzioni e strategie, spesso attraverso la collaborazione con altre realtà.
Intervista a Gaetano Fausto Esposito, economista e Direttore generale del Centro Studi “Guglielmo Tagliacarne”.
Da dove nasce il concetto di coesività?
Il concetto di Impresa Coesiva nasce dall’esperienza del “distretto industriale” che è una miscellanea non solo di imprese ma anche di cultura, di territorio, di tradizioni
Alla fine, dell’800, Alfred Marshall, economista inglese, introdusse la nozione di distretto industriale studiando i distretti industriali inglesi. Sheffield, per esempio, è stata storicamente un centro per l’industria siderurgica e la lavorazione dei metalli: la concentrazione di imprese in questi settori ha creato un’identità industriale unica.
In sintesi, per Marshall, i distretti industriali non erano semplici aggregazioni di imprese, ma veri e propri sistemi socioeconomici che promuovevano la crescita e l’innovazione. Dunque, si parlava di coordinamento e cooperazione: sebbene le imprese fossero concorrenti, la loro vicinanza fisica favoriva la collaborazione e la condivisione di informazioni, creando un’atmosfera di fiducia e mutuo vantaggio.
In ambito nazionale Giacomo Becattini, economista toscano, prende spunto da Alfred Marshall per rileggere gli agglomerati italiani di PMI del dopoguerra e propone il distretto industriale come unità di analisi che valorizza le relazioni tra luoghi, persone e imprese. È una forma d’organizzazione che emerge dalla condivisione territoriale e sociale, con un’interazione che produce economie condivise, innovazione collettiva e competitività sostenibile. Il concetto ha stimolato una vasta letteratura, diventando paradigma del made in Italy e dello sviluppo locale.
Le cooperative “bianche” e “rosse” …
Nella nostra tradizione, peraltro non diffusa in tutto il Paese, questa cultura si è sviluppata soprattutto in alcune aree del centro-nord-est mentre il centro-nord-ovest, invece, ha proposto storicamente – celebre è il triangolo Milano-Genova-Torino – una maggiore presenza di grandi stabilimenti, meno propensi a sviluppare nuclei di questo tipo. Possiamo dire che questa localizzazione ha certamente delle connessioni con l’esperienza delle cooperative rosse e bianche.
Il sociologo Arnaldo Bagnasco, a partire dagli anni ’70, sostiene che la subcultura comunista e quella cattolica hanno creato veri e propri “ecosistemi morali” che regolano la fiducia, la cooperazione, l’accesso al lavoro, l’associazionismo e la vita quotidiana. Esse hanno fornito capitale sociale e infrastrutture morali, sostenendo in modi diversi la nascita di reti produttive e forme di welfare locale.”
Il Rinascimento e l’economia civile del ‘700 sono stati semi importanti?
Se parliamo di ‘eredità’ di cui ha fruito, in qualche modo, questa visione, certamente la storia del nostro Paese ha due punti di riferimento unici: il Rinascimento per quanto riguarda la ‘ideatività’ e la grande ‘creatività realizzativa’, rimasta ineguagliata nella storia, ma soprattutto l’insegnamento dell’esperienza partenopea di Antonio Genovesi, che rappresenta una pietra miliare nella storia dell’economia politica mondiale, ed è profondamente legato alla formazione culturale ed etica dell’economia moderna.
Questa visione aveva un intento etico e civile e per farlo, Genovesi sviluppò un pensiero noto come ‘economia civile’, che unisce economia, morale e politica. Considera l’uomo non solo come individuo utilitaristico, ma come essere sociale e morale. Ed infine, sostiene che il mercato funziona solo se sostenuto da fiducia, virtù civica, cooperazione e giustizia.
Ricollegandomi a questi due macro-esempi possiamo senz’altro affermare che l’aspetto del lavoro creativo e della fiducia ripropongono la questione dei “valori”, ossia delle credenze condivise nella società che stimolano un atteggiamento cooperativo e spingono verso un mutuo beneficio dello stare insieme. Questi valori sono una vera e propria forma di capitale civile, che richiama al buoncostume e alla fede pubblica. Un capitalismo di questo tipo si è diffuso in molti dei nostri territori, soprattutto dove esisteva una tradizione di partecipazione civile più forte, ed ha rappresentato l’ossatura dei distretti industriali di piccole imprese.”
Dall’ANTROPOCENE all’AICENE? Un cambio di paradigma
Proprio in questi ultimi anni il concetto di ‘ANTROPOCENE’, l’epoca geologica in cui l’attività umana ha un impatto significativo sul pianeta, sembra stia evolvendo verso l’idea di ‘AICENE’ (Artificial Intelligence Cenozoic Era), riconoscendo il ruolo sempre più centrale dell’intelligenza artificiale nel futuro del pianeta e delle sue trasformazioni. Questo cambio di paradigma sottolinea la crescente influenza della tecnologia, in particolare dell’IA, sulla biosfera e sulla società, richiedendo una nuova prospettiva per affrontare le sfide e le opportunità del futuro.
L’etica è un asset fondamentale per lo sviluppo
Gli studi e le iniziative portate avanti sul tema dell’Etica – soprattutto nell’ultimo decennio, in cui il tasso di crescita delle tecnologie è stato esponenziale – sono diventati ora di massima attualità grazie anche a una visione olistica del termine, una visione che la interpreta più come ‘relazione’ che come ‘somma di regole’ e, soprattutto, la declina all’interno di una visione ‘politica’ – un termine con la Polis maiuscola!
In molti contesti si parla ancora di tecnologie emergenti e di nuovi media come se il digitale fosse una novità. Ora è tempo di farla evolvere questa trasformazione digitale verso uno sviluppo armonioso con al centro l’intelligenza e la sensibilità umana.






