Lavoro e salute

Tre azioni che gli HR manager possono mettere in campo per sostenere la salute mentale sul lavoro

Quattro persone su dieci in Italia hanno dichiarato almeno un’assenza dal lavoro nell’ultimo anno per malessere emotivo. Supportare lo sviluppo del benessere psicologico all’interno delle organizzazioni diventa dunque una priorità per i responsabili delle Risorse Umane impegnati nel costruire team efficienti e coinvolti. Da CoachHub tre metodologie da perseguire per raggiungere i migliori risultati

Pubblicato il 01 Set 2022

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Tra burnout, tecnostress, mancanza di equilibrio fra lavoro e vita privata, “work intensification”, ossia la sensazione di essere sempre di fretta e in corsa contro il tempo, il benessere lavorativo è un traguardo ancora lontano per molti italiani. Solo il 9% degli occupati afferma infatti di stare bene dal punto di vista fisico, sociale e soprattutto psicologico: 4 lavoratori su 10 hanno fatto almeno un’assenza per malessere emotivo nell’ultimo anno. A condividere questi dati è l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che sottolinea anche una diminuzione del livello di engagement, ora al 14% rispetto al già basso 20% registrato nel 2021, e una limitata diffusione del senso di inclusione e valorizzazione del capitale umano all’interno dell’organizzazione che raggiunge appena il 17%. Promuovere la salute mentale sul lavoro diventa così una priorità per tutti gli HR manager impegnati nell’acquisire nuove risorse e nel trattenere quelle già presenti.

Come supportare la salute mentale sul lavoro: 3 metodi

Sostenere concretamente una buona salute mentale sul lavoro è positivo per tutti i soggetti coinvolti: gli azionisti che guardano a un maggior profitto, i CFO, che cercano nuove fonti di risparmio, i CHRO, che vogliono creare team ad alte prestazioni, e i dipendenti stessi, che chiedono di trascorrere il proprio tempo in un ambiente positivo, dove sono considerati individui e non solo semplici “lavoratori”. Gli esperti di CoachHub, la piattaforma globale specializzata nel coaching digitale, suggeriscono tre metodi per costruire un ambiente di lavoro più sano messi a punto dall’American Psychological Association.

Promuovere la flessibilità

Lo chiedono le persone e lo confermano i numeri: stando al Work Trend Index 2022 di Microsoft tra i primi cinque motivi per cui ben il 18% di dipendenti (su un campione di 31.000) ha lasciato il lavoro nel 2021 c’è la mancanza di flessibilità. A fare da ostacolo alla libertà di decidere dove, quando e come lavorare sono sostanzialmente la paura e la smania di controllo dei leader, che tendono a dare per scontato, malgrado gli studi lo smentiscano, che lontano dalla loro vista i dipendenti non svolgano i propri compiti. Occorre, invece, dicono i ricercatori, trovare un modo per fidarsi dei propri dipendenti e allo stesso tempo conquistare la loro fiducia.

Sviluppare programmi e policy a supporto della salute mentale sul lavoro

Lo stress mina il livello di engagement compromettendo i risultati delle attività quotidiane con un riflesso sui costi aziendali di milioni di euro ogni anno. Se da un lato è dunque vero che avviare programmi e policy che supportano la salute mentale sul lavoro richiede lo stanziamento di un budget, tuttavia il costo è trascurabile rispetto agli effetti negativi che potrebbero scaturire all’interno dell’organizzazione poco attenta a questo aspetto: ridotta produttività, mancanza di innovazione, disinteresse, assenteismo e altri problemi che derivano dal mancato coinvolgimento delle persone. Programmi che promuovono il benessere sul lavoro e un ambiente di lavoro che si prende cura delle persone possono fare molto per garantire che i propri collaboratori siano ingaggiati, in salute e soddisfatti della propria vita professionale, sostengono i ricercatori.

Supportare concretamente equità, diversità e inclusione

Un elemento da tenere ben presente in questo ambito è quello della diversità. Molte aziende ne parlano, ma poche ottengono dei risultati concreti. Come sottolinea il coach Kaveh Mir, “diversità non implica necessariamente inclusione. Talvolta, abbiamo diversità, ma non inclusione. Diversità significa avere tutti attorno al tavolo; inclusione significa che tutti sentono di poter parlare liberamente. Secondo il primo rapporto tematico di genere realizzato da AlmaLaurea, le donne laureate in Italia guadagnano ancora il 20% in meno rispetto agli uomini. Risolvere il problema si riduce a una cosa sola: smettere di parlare e iniziare a fare.

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