Società iperconnessa

Tecnostress, quando l’uso improprio del digitale sul lavoro diventa un problema

Flussi ininterrotti di email, meeting online, call, video chat, messaggi vocali: al lavoro la nostra mente è sempre più connessa come i nostri device. Senza regole e senza la giusta “digital awareness” il nostro equilibrio psico-fisico è minacciato. Ecco come riconoscere e allontanare il tecnostress

Pubblicato il 09 Giu 2021

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La pandemia ha dato una forte spinta al digitale e questo ha senz’altro creato importanti opportunità di crescita e accelerazione per molte realtà del nostro Paese. Ma c’è anche un altro lato della medaglia: il diffondersi della sindrome da stress associata all’uso di strumenti tecnologici nota come “tecnostress”.

Il termine tecnostress (in inglese technostress) è stato coniato dallo psicologo americano Craig Brod autore del libro dal titolo “Technostress: the human cost of computer revolution pubblicato nel 1984. Brod definisce il tecnostress come “una moderna malattia dell’adattamento causata dall’incapacità di far fronte alle nuove tecnologie informatiche in modo sano”.

Il tecnostress nell’era dello smartphone

Successivamente, nel 1997, gli psicologi Larry Rosen e Michelle M. Weil, in “Technostress: coping with technology @work @home @play”, hanno ampliato il significato del termine indicando con esso “qualsiasi impatto negativo su atteggiamenti, pensieri, comportamenti o sulla psicologia causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia”.

Questa definizione assume nuove sfaccettature alla luce dei principali cambiamenti tecnologici degli ultimi anni: l’accesso globale a Internet e la diffusione capillare di dispositivi elettronici connessi alla rete, in primis gli smartphone. Nell’era dell’iperconnnessione, dunque, il tecnostress si configura principalmente come il sovraccarico di informazioni da gestire anche da diversi device contemporaneamente, accompagnato dal rapidissimo aggiornamento di hardware e software.

I sintomi del tecnostress

I sintomi da tecnostress si possono suddividere in due macro-gruppi: sintomi fisici e sintomi mentali o psichici (comportamentali e cognitivi). Tra i sintomi fisici troviamo: insonnia e disturbi del ritmo sonno-veglia; disturbi gastrointestinali; mal di testa; fatica cronica; aumento della frequenza cardiaca; disturbi cardiovascolari; formicolio agli arti; sudorazione; dolore cervicale; disturbi ormonali e mestruali nelle donne; disturbi della pelle legati allo stress (psoriasi, dermatite). Tra i sintomi psichici: irritabilità; depressione; cambiamenti comportamentali; diminuzione del desiderio sessuale; crisi di pianto; apatia.

Tuttavia bisogna tenere a mente che la sintomatologia da tecnostress ha carattere soggettivo. Spesso la sindrome non viene prontamente identificata e rischia di degenerare sino a costituire un forte o totale impedimento nello svolgimento delle attività quotidiane e in ambito relazionale.

Talmente acute possono essere le conseguenze del tecnostress che dal 2007 è considerato una malattia professionale (sentenza della Procura di Torino) e nel 2014 anche INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) l’ha inserito nell’elenco delle malattie professionali non tabellate, ossia quelle per le quali l’obbligo della prova spetta al lavoratore.

Digital awaress per vincere il tecnostress

Il tecnostress in fase acuta può causare episodi di amnesia e disturbi della memoria. A tutto questo si associa un crescente assenteismo, mancanza di motivazione e perdita di efficacia professionale. È chiaro, dunque, che gli effetti del tecnostress non ricadono solo sul lavoratore ma su tutto il sistema produttivo dell’organizzazione.

Per questo duplice motivo le aziende devono avere cura che venga raggiunto al proprio interno un adeguato livello di digital awarness. Per digital awareness si intende quella digital soft skill, o competenza trasversale, che identifica la consapevolezza dell’impatto che la trasformazione digitale può avere sull’individuo e la conseguente capacità di gestirlo.

I creatori di tecnostress

Il professor T. S. Ragu-Nathan dell’Università di Toledo in Ohio, ha identificato alcuni fattori specifici che inducono il tecnostress (technostress creators) e alcuni fattori che invece lo inibiscono o comunque ne moderano gli effetti (techostress inhibitors).

Le TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) possono provocare stress in vari modi. Secondo lo studio del professor Ragu-Nathan i technostress creators sono sei.

techno-invasion: la connettività costante estende la normale giornata lavorativa e induce i dipendenti a lavorare negli orari più disparati esponendoli alla possibilità di essere contattati ovunque e in qualsiasi momento; ciò può scatenare un malessere tale da scatenare l’angoscia di essere costretti a rispondere sempre ;

techno-overload: incapacità di gestire il sovraccarico di informazioni in entrata dovuto al sommarsi di strumenti di comunicazione mobile come laptop e smartphone nonché di applicazioni software per lavorare in team. Aumentare la velocità per portare a compimento tutto il lavoro è una delle conseguenze più comuni e causa di forte stress;

techno-complexity: tecnologie sempre più complesse obbligano i lavoratori a investire parte del proprio tempo nel tentativo di padroneggiarle: in queste circostanze non è raro che si manifestino avversione, paura e ansia di non essere all’altezza;

techno-insecurity: si lega alla repentina evoluzione tecnologica che induce a sviluppare nei lavoratori una sensazione di minaccia per il proprio posto e per il proprio futuro;

techno-uncertainty: la fatica generata dallo star dietro a tutte le implementazioni e modifiche delle applicazioni informatiche spesso anche in assenza di supporto tecnico;

multitasking: si cerca di ottenere sempre di più in meno tempo rispondendo a più richieste attraverso l’utilizzo di uno o più strumenti tecnologici contemporaneamente; a ciò corrisponde una crescita esponenziale dello stress.

In sintesi, scrive il professor T. S. Ragu-Nathan, le TIC creano stress perché sono complesse e cambiano frequentemente, coinvolgono in modo significativo curve di apprendimento ripide, richiedono più lavoro, portano al multitasking eccessivo e sono accompagnate da problemi tecnici ed errori.

Come abbassare il livello di tecnostress

Gli inibitori del tecnostress rappresentano le variabili situazionali e descrivono i meccanismi organizzativi che hanno il potenziale per ridurre gli effetti del tecnostress. Poiché le nuove TIC vengono spesso introdotte a un ritmo rapido, gli utenti finali necessitano di formazione e guida su come utilizzare i nuovi sistemi, soprattutto durante i primi giorni, per ridurre la loro ansia.

Un altro meccanismo per ridurre gli effetti del tecnostress consiste nel coinvolgere gli utenti finali durante le fasi di pianificazione e implementazione del sistema; comunicare i cambiamenti (ad es. cambiamenti del flusso di lavoro e dei processi), i vantaggi e le opportunità che accompagnano l’introduzione di nuove TIC riduce lo stress e aiuta gli utenti superare la paura e l’ansia legate ad esse.

Tecnostress e Smart Working

Secondo lo studio condotto dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nella fase più acuta della pandemia sono stati 6,58 milioni i lavoratori che si sono dovuti adattare al remote working. Certo, si trattava di un’emergenza, ma tutto lascia presagire che nulla tornerà più come prima e nel “new normal” il lavoro ibrido conquisterà sempre più rilievo.

Se tutto questo è stato possibile non vi è alcun dubbio che lo si deve al sostegno delle nuove tecnologie digitali: chat, e-mail, video call e perfino virtual coffee hanno sostituito i gesti e le abitudini di sempre permettendo alle attività di non fermarsi e di mantenere alto il livello di produttività. In questo tripudio di efficienza non tutti però ne sono usciti indenni. La costante obbligata interazione uomo-macchina, imposta per necessità anche a soggetti non adeguatamente preparati, ha indotto l’acuirsi di forme di tecnostress. Alcuni numeri rilevati da Microsoft tra febbraio 2020 e febbraio 2021 intervistando oltre 31.000 lavoratori connessi alla sua piattaforma danno una misura degli impatti: 40 miliardi di e-mail, più 148% di meeting online, più 45% di chat a settimana e più 42% di chat fuori l’orario di lavoro.

Con le cifre appena citate non è difficile comprendere come il tecnostress abbia trovato terreno fertile tra i lavoratori da remoto e si cerchi ora di porvi una maggiore attenzione in vista del futuro. Così succede che nel Piano Organizzativo del Lavoro Agile pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri il 31 marzo 2021 si fa esplicito riferimento al diritto alla disconnessione: “Al dipendente che rende la propria prestazione lavorativa in modalità agile è garantito il rispetto dei tempi di riposo nonché il ‘diritto alla disconnessione’ dalle strumentazioni tecnologiche”.

Ricordiamo che con “diritto alla disconnessione” ci si riferisce al fatto che i dipendenti possono non essere reperibili, non leggere o rispondere a qualsiasi email, chiamata, o messaggio al di fuori del normale orario di lavoro.

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