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Digital HR&Innovation, Diversity&Inclusion, Welfare ed Engagement. Le sfide HR del prossimo Congresso Aidp

A maggio gli specialisti delle risorse umane si riuniranno per decidere la rotta della professione e costruire insieme proposte concrete sui temi caldi che affrontano tutti i giorni, dalla digitalizzazione ai piani retributivi, dal welfare al change management. L’intervista a Isabella Covili Faggioli, Presidente di Aidp

Pubblicato il 28 Mar 2017

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A maggio si terrà il 46° Congresso Aidp, l’Associazione italiana per la direzione del personale, dal titolo eloquente “Un mare di risorse: la persona come opportunità”: due giorni di aggiornamento e analisi strategica sul management delle risorse umane. Fuor di metafora, i lavori si svolgeranno per mare, su La Suprema, la nave ammiraglia della flotta Gnv, che dal 12 al 14 maggio navigherà da Genova a Civitavecchia. Si alterneranno sessioni plenarie, incentrate su “Persona e organizzazioni tra internazionalizzazione e nuove complessità”, e 9 sessioni o “wave” tematiche dedicate ai temi caldi della gestione HR: Diversity&Inclusion, Digital HR&Innovation, Welfare, Engagement, Compensation&Benefit, Leadership for Excellence, Training&Change Management, Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali. Abbiamo intervistato la Presidente di Aidp Isabella Covili Faggioli per una riflessione sulle sfide e le opportunità che la digitalizzazione offre al mondo delle risorse umane.

Come e quanto ha impatto la digitalizzazione sulla gestione delle risorse umane?

È un fenomeno pervasivo che cambia il modo di lavorare, di apprendere e di gestire le persone. È una grande opportunità per abbattere le barriere di tempo e di spazio e rendere le persone più padrone del proprio tempo, fino alle forme di smart working che si stanno delineando.
Il digitale ha in gran parte sostituito il vis à vis per il recruiting, la formazione e anche la valorizzazione delle persone, con software per lo sviluppo delle competenze e il performance management, e permette a più famiglie professionali di formarsi e aggiornarsi velocemente, il che è fondamentale in questo mondo in continuo movimento e mutamento. Tuttavia, il digitale resta uno strumento e l’uso che se ne fa dipende anche dalla considerazione che si ha delle proprie risorse. In sostanza, perché queste nuove modalità funzionino davvero bisogna creare relazioni di fiducia reciproca e, in particolare con lo smart working, bisogna passare da una concezione del lavoro basata sul controllo e la presenza fisica a una basata sulla fiducia, la delega e gli obiettivi da raggiungere da un lato, e sull’autoresponsabilizzazione dall’altra.

Le nuove frontiere formative sono le learning machine e i learning analytics, che personalizzeranno i contenuti come fossero beni di consumo su misura. Servirà anche fiducia nel fatto che questi strumenti non invadano troppo la privacy?

Oggi, come ieri, lasciamo traccia di come siamo e del nostro stile ogni volta che andiamo in aula, che facciamo un lavoro di gruppo, che ci viene chiesto di esprimerci o di guidare un team o un progetto. Domani lo faremo con la tracciabilità dei nostri comportamenti di navigazione nell’intranet e negli strumenti social aziendali. Non credo cambi molto, cambiano solo gli strumenti.

Si potrebbe arrivare a demandare l’intera formazione a sofisticati strumenti digitali?

Da un punto di vista metodologico io punterei a un mix equilibrato tra aula e e-learning. Vedo bene la formazione a distanza, anche quella più evoluta interattiva e personalizzabile in base al proprio stile di apprendimento, per acquisire la cassetta degli attrezzi, il sapere tecnico, mentre per la formazione delle soft skill, le capacità relazionali e gestionali, riserverei uno spazio di valore all’incontro di persona, utilizzando tecniche ancora efficaci come lo psicodramma e il T-group, per esempio. Le aziende lamentano la mancanza di soft skill nei collaboratori, ma sta a loro allenarle e svilupparle con gli strumenti più efficaci e il contatto fisico, l’incontro.

Sta cambiando forma anche il welfare aziendale?

Diciamo che si sta diffondendo nella forma di flexible benefit che vanno incontro alle esigenze delle diverse fasce d’età, di genere e quant’altro della popolazione aziendale e, anche in questo caso, la tecnologia aiuta con piattaforme e il cosiddetto “portafoglio elettronico”. È anche questo un modo per aumentare l’engagement delle persone, che stanno bene quando si sentono ascoltate nei loro bisogni.

Come cambia e dove si posiziona oggi il ruolo dell’HR?

L’HR dovrebbe costruire la strategia insieme all’amministratore delegato, perché consapevole delle risorse a disposizione che sono l’asset più importante per l’azienda. Al tempo stesso, l’HR deve prendere coscienza del proprio valore come persona e come professionista ed essere di esempio alle sue persone, mostrando coerenza tra il dichiarato e l’agito, non perdendosi d’animo per l’incertezza in cui tutti viviamo e occupandosi sì di ristrutturazioni, ma anche di piani di sviluppo e valorizzazione della forza lavoro. Siamo in una epoca in cui è necessario rinsaldare il patto di fiducia con le persone e cogliere le opportunità insite anche nelle difficoltà.

Non so se sia facile dirlo a chi perde il posto…

È una questione di etica e rispetto, e poiché in certi casi i modi fanno la sostanza, vale la pena trovare i modi più indolori anche nelle decisioni più impopolari, ricordandosi che di fronte ci sono persone. Mi piacerebbe arrivare un giorno a un codice deontologico anche per la nostra categoria.

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