Strategie

Condivisione del purpose ed engagement dei dipendenti: come rendere efficace l’employee advocacy

Per prendere consistenza e forza, i progetti di employee advocacy devono essere guidati da un purpose comune, che nasca da un allineamento tra quello personale e quello aziendale, e da un lavoro costante dell’HR, impegnata a dare voce ai dipendenti e a coinvolgerli costantemente. Fin dalle fasi di attraction è fondamentale che le persone siano consapevoli di avere un ruolo unico come stakegivers e stakeholder: a loro spetta l’opportunità di dare e ricevere valore

Pubblicato il 24 Nov 2020

Rosanna Del Noce*

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I dipendenti oggi sono sempre più i portatori della comunicazione e dei valori aziendali. Attraverso i post che pubblicano sui loro profili social personali sono dei veri e propri ambasciatori del brand sia verso altri dipendenti sia verso l’esterno. Ecco perché oggi si parla di Employee Advocacy.

Quello che sta accandendo è mutuato anche da quanto sta accadendo anche rispetto al tema degli influencer. Viviamo, infatti, in un’epoca caratterizzata da un sovraccarico pubblicitario, e gli utenti danno sempre meno credito ai noti influencer e ai messaggi sponsorizzati: gradualmente la loro attenzione si sta spostando sui messaggi dei micro-influencer meno celebri.

Il valore dei micro-influencer

I micro-influencer sono persone competenti in un certo settore o appassionate di un tema che comunicano con passione e spontaneità; per queste qualità il loro seguito li elegge a fonte più attendibile di informazioni e consigli su cosa comprare o seguire.

Qual è la differenza tra un influencer e un micro-influencer? Un micro-influencer ha un minor numero di follower degli influencer celebri. Sebbene il numero di follower sia solitamente compreso tra 1.000 e 100.000, è stato dimostrato che i micro-influencer con una media di 30.000 follower creano un engagement 6,7 volte maggiore rispetto a un influencer.

I dati diventano più interessanti quando si parla di micro-influencer aziendali e delle performance social dei dipendenti di un’azienda. Ad esempio, come sottolinea il report “The Year of Social Advocacy in the Workplace” di Post Beyond, i messaggi vengono ricondivisi 24 volte di più se il post che parla del brand viene pubblicato da un dipendente. Quando un employee advocate pubblica un post registra più del 500% di reach rispetto allo stesso identico post condiviso tramite le pagine social ufficiali dell’azienda. Il reach indica il numero di persone che hanno visto il post pubblicato sui social.

Come sta cambiando il paradigma della comunicazione

Il paradigma della comunicazione è cambiato e gli utenti della rete hanno più fiducia nelle persone con cui si identificano e prediligono i contenuti da cui emerge autenticità, competenza e verità. Questo presupposto ci spiega perché sta crollando ad esempio il mito dei video nei quali i collaboratori parlano della loro azienda con parole e posture studiate ad hoc. La rete ci ha insegnato a riconoscere immediatamente il livello di artificiosità di un post, di un video o di una semplice immagine. È facile distinguere chi predilige la verità o uno spot e, sempre in nome della credibilità, i dipendenti sono degli ottimi ambassador solo se c’è un sentito allineamento tra il purpose personale e quello aziendale. Molti dipendenti rifiutano di sostenere brand dove ciò che si comunica non è coerente con il loro vissuto. La realtà onlife ci ha reso ancora più interessati alla verità e non alla manipolazione.

Il potere dei micro-influencer aziendali diventa allora esponenziale quando esiste una reciprocità di intenti, un sistema premiante e un engagement attento alle diverse attitudini di ogni collaboratore.

Ci sono persone più brave a sviluppare i propri touch point interattivi, altre più portate a trasmettere il valore delle iniziative aziendali, altre ancora a sostenere i colleghi sui social.

I progetti di Employee Advocacy sono diventati una priorità per molte aziende che, consapevoli dei benefici, li implementano per sostenere le strategie di marketing e comunicazione. Nella figura sottostante si possono cogliere i principali benefici di un programma di Employee Advocacy (Fonte: Report “The Year of Social Advocacy In The Workplace”).

Employee Advocacy, perché partire dalla condivisione del purpose

Per prendere consistenza e forza, i progetti di employee advocacy delle organizzazione devono essere guidati da un purpose che, oltre a essere sostenibile e a servizio della comunità, sia significativo innanzitutto per i dipendenti e gli stakeholder. Tutto ruota quindi intorno ai valori e alla storia aziendale da un lato, e allo scopo per cui un’azienda esiste dall’altro.

Il 2020 ha visto molte organizzazioni impegnate a realizzare delle iniziative per il bene comune e a prendere posizione rispetto a vicende che hanno scosso l’opinione pubblica. Stacia Garr e Dani Johnson hanno condotto una ricerca durata oltre 6 mesi con lo scopo di capire cosa possiamo imparare dalle organizzazioni Purpose-Driven e in che modo il ruolo HR può contribuire a rendere le aziende purpose-driven. Lo studio globale ha mostrato che:

  • l’89% dei dirigenti ritiene che la soddisfazione dei dipendenti dipenda da un purpose forte e condiviso. I dipendenti credono infatti che il loro lavoro debba contribuire a qualcosa di più grande;
  • l’84% dei dirigenti sostiene che un purpose chiaro influisca positivamente sull’abilità dell’azienda di evolversi;
  • l’80% dei dirigenti pensa che un purpose significativo favorisca la fidelizzazione dei clienti.

I manager HR delle organizzazioni purpose-driven sono impegnati a rafforzare l’autenticità e a dare spazio alla voce dei dipendenti. Sanno che le parole autentiche dei dipendenti sono considerate più imparziali di quelle di un CEO e conferiscono più credibilità e affidabilità al brand.

Migliorano l’engagement dei dipendenti sui social fornendo gli strumenti e la formazione necessaria per valorizzare le loro qualità comunicative e relazionali.

Le organizzazioni purpose-driven si curano della reciprocità di intenti che parte dalle fasi di attraction e recruiting. Sanno che l’intera employee experience è guidata da un purpose chiaro e condiviso.

I manager HR che vogliono sviluppare una cultura purpose-driven hanno bisogno di focalizzarsi su 5 aree.

In ognuna di queste 5 fasi bisogna alimentare le interazioni e convertirle in adeguate occasioni di propagazione del purpose aziendale. L’obiettivo? Una costante riduzione della distanza tra le micro-esperienze dei nostri interlocutori e i processi che danno concretezza e consistenza al purpose.

L’engagement e i progetti di employee advocacy

Fin dalle fasi di attraction è fondamentale che le persone siano consapevoli di avere un ruolo unico come stakegivers e stakeholder: a loro spetta l’opportunità di dare e ricevere valore.

La fase di onboarding è sicuramente il momento in cui l’azienda è impegnata ad abilitare le persone a esprimere il proprio purpose nelle attività svolte, nella sinergia con i colleghi, nella reciprocità di intenti con il team, la business unit e l’intera organizzazione.

Lo sviluppo avviene in modo graduale e segue i tempi della elaborazione individuale di ciò che viene appreso e delle occasioni di confronto e coevoluzione.

L’engagement nei progetti di employee advocacy scatta con l’ingresso nel social ambassador hub, il centro di coordinamento delle attività purpose-driven, il luogo dove ogni persona si cimenta in un ruolo che valorizza le proprie qualità relazionali e le proprie attitudini social.

Coinvolgere i dipendenti in progetti di employee advocacy produce sicuramente un vantaggio competitivo quando si rispettano i nuovi paradigmi della comunicazione e si sostiene l’allineamento tra purpose personale e purpose aziendale.

Il 76% degli utenti si fida di più dei contenuti condivisi dai dipendenti rispetto a quelli pubblicati nelle pagine ufficiali, ci sono buone ragioni per gestire con competenza il valore di questo patrimonio e beneficiare del potere esponenziale dei dipendenti come advocacy del brand.

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