L’evoluzione dello Smart Working in Italia non si misura più solo nei numeri, ma nella trasformazione culturale che attraversa aziende e istituzioni. Dopo una fase di sperimentazione forzata, la flessibilità è diventata una leva strutturale. Tuttavia, per consolidarsi nel tempo, richiede una cultura dello Smart Working capace di tradurre autonomia e fiducia in responsabilità condivisa.
Durante la 14ª edizione dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, diversi protagonisti del mondo aziendale hanno raccontato come il lavoro agile stia cambiando i comportamenti, la leadership e il modo di concepire la relazione tra persone e organizzazioni.
Indice degli argomenti
Dalla conciliazione alla responsabilità: la nuova maturità del lavoro agile
«Lo Smart Working è un fattore culturale», ha sottolineato Giuseppe Castelli, specialista di Relazioni Industriali di Terna, durante la tavola rotonda dedicata alla “fotografia” dello Smart Working in Italia. «Molti si focalizzano solo sull’aspetto della conciliazione vita-lavoro, ma non deve essere l’unico driver. Il nostro obiettivo è la responsabilizzazione delle persone».
Il caso Terna rappresenta bene la maturità raggiunta da alcune grandi aziende italiane. Dopo una fase sperimentale iniziata nel 2018, il modello si è evoluto da un approccio di emergenza a una struttura flessibile ma regolata, differenziata in base ai profili organizzativi. L’azienda ha introdotto limiti di giornate in Smart Working variabili a seconda del ruolo — dieci per le funzioni impiegatizie e sei per quelle tecnico-operative — con estensioni specifiche per genitori o categorie particolari.
Per Castelli, il successo dello Smart Working risiede nella capacità di bilanciare regole e libertà: «Le regole servono, ma devono accompagnare lo Smart Working, non ingabbiarlo. Solo così si può rafforzare e rinnovare nel tempo».
È una visione che sposta il baricentro dal “permesso di lavorare da casa” alla costruzione di un patto di fiducia e responsabilità, fondato su risultati, autonomia e collaborazione.
Fiducia come leva organizzativa
Anche Giulio Natali, Chief of HR di Fater, ha messo al centro del proprio intervento la fiducia come cardine della cultura dello Smart Working. La società, joint venture tra Procter & Gamble e Angelini, ha introdotto un modello ibrido basato sull’autonomia e sulla libertà individuale: «Il nostro è un modello flessibile, senza regole ma con principi chiari. Abbiamo fiducia che ciascuno faccia del proprio tempo il miglior uso possibile».
L’azienda ha ridisegnato i propri spazi — passando da un headquarter tradizionale a un open space pensato per creare connessione — e ha trasformato la sede in un luogo di relazione, non di obbligo. «La connessione fisica è importante – ha spiegato Natali – ma deve essere scelta, non imposta. Le persone vengono in azienda perché trovano un ambiente che valorizza il loro benessere».
In questo modello, la leadership cambia natura: non è più controllo, ma facilitazione. Il manager diventa il custode di un equilibrio, colui che aiuta i collaboratori a usare la libertà con consapevolezza. È una forma di fiducia organizzativa che si costruisce nel tempo, ma che, se consolidata, rafforza la motivazione e la produttività.
La leadership che cambia con il lavoro flessibile
La cultura dello Smart Working si costruisce attraverso una nuova idea di leadership. Lo ha ricordato anche Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio, spiegando che l’efficacia del lavoro agile non può ridursi a una questione di policy. «Dobbiamo chiederci come i comportamenti e gli stili di leadership influenzano il benessere e le performance. Lo Smart Working non funziona se non cambia il modo in cui le persone collaborano».
Il passaggio da una logica di presenza a una logica di fiducia richiede competenze relazionali e strumenti di misurazione che vadano oltre le ore lavorate. Significa guidare con l’esempio, promuovere la comunicazione aperta e il confronto costruttivo, ma anche imparare a gestire il rischio dell’isolamento e della perdita di appartenenza.
Come ha evidenziato Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation, «la libertà nel lavoro ha un valore enorme, ma non può sostituire il contatto diretto. C’è una parte del nostro apprendimento che riguarda i comportamenti, e questa nasce dal confronto in presenza».
L’equilibrio tra autonomia e coesione diventa quindi una delle sfide principali per i manager, chiamati a mantenere viva la cultura d’impresa anche a distanza.
Il ruolo della cultura organizzativa nella produttività
Secondo la ricerca dell’Osservatorio, le organizzazioni che investono sulla cultura del lavoro flessibile ottengono risultati più solidi nel tempo. La produttività cresce dove la flessibilità è accompagnata da formazione, leadership diffusa e condivisione degli obiettivi.
Il lavoro ibrido, infatti, non è sinonimo di minore efficienza: è un cambiamento che richiede nuovi codici culturali.
Le parole di Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio, chiariscono questo passaggio: «Le imprese che hanno strutturato le proprie iniziative di Smart Working con policy chiare e strumenti di accompagnamento hanno consolidato modelli più efficaci e sostenibili». Nelle grandi aziende e nella Pubblica Amministrazione prevale una gestione formalizzata, mentre le PMI si affidano a un approccio più informale, spesso legato alla relazione personale.
Ma in entrambi i casi, il fattore decisivo resta la cultura organizzativa: la capacità di tradurre la flessibilità in responsabilità condivisa e di farne una risorsa per l’engagement.
Smart Working come ecosistema di valori
Lo Smart Working non è più un beneficio individuale, ma un ecosistema di valori aziendali che mette al centro autonomia, fiducia e risultati. Nelle organizzazioni più mature, la cultura del lavoro flessibile si intreccia con quella della sostenibilità e del benessere.
Il caso di Fater, dove i dipendenti possono portare i figli o i propri animali in sede, mostra come l’attenzione alla persona diventi parte integrante dell’identità aziendale. Non si tratta di welfare accessorio, ma di una visione in cui il benessere favorisce la performance. «Non siamo felici perché vinciamo, ma vinciamo perché siamo felici», ha sintetizzato Natali, riassumendo l’idea di un successo che nasce da un clima di fiducia diffusa.
Allo stesso modo, Terna ha dimostrato che la cultura dello Smart Working può essere regolata senza perdere umanità: stabilire limiti chiari non significa tornare al controllo, ma garantire sostenibilità e continuità.
In entrambe le esperienze, la flessibilità è un linguaggio comune che unisce esigenze diverse: quelle dell’organizzazione, che cerca efficienza e continuità, e quelle delle persone, che chiedono autonomia e riconoscimento. È su questo equilibrio che si fonda la nuova cultura dello Smart Working.






