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Settimana lavorativa di 4 giorni: è possibile togliere una giornata e raggiungere gli stessi risultati?

Se è vero che, come dice Parkinson, il lavoro si espande fino a riempire il tempo necessario per completarlo, chi ha a disposizione tempistiche ridotte probabilmente si concentrerà sull’essenziale e svolgerà più velocemente i suoi compiti, con più produttività. Questo sulla carta, perché serve gestire la transizione in modo opportuno, tenendo conto di diversi fattori. Eccone alcuni

Pubblicato il 09 Feb 2023

settimana lavorativa 4 giorni

La settimana lavorativa della Creazione fu di 6 giorni, quella di Henry Ford di 5, quella dei nostri figli sarà di 4. Stanno crescendo continuamente i Paesi e le imprese in tutto il mondo che stanno sperimentando e anche adottando definitivamente il modello con la settimana lavorativa di quattro giorni. Questo avviene non in alternativa allo Smart Working, ma in aggiunta, come ulteriore elemento di ottimizzazione delle modalità di lavoro per rendere l’organizzazione più attraente, più produttiva e, generalmente, più sostenibile. Molti si chiedono, ci chiedono e anch’io spesso mi chiedo, ma come è possibile togliere un giorno di lavoro e raggiungere gli stessi risultati o anche superarli se già siamo oberati e non sappiamo come riuscire a fare tutte le cose che vorremmo e che ci si aspetta che facciamo?

Ovviamente ci sono attività, ruoli, occupazioni in cui la relazione tra output e tempo impiegato è piuttosto diretta. Se consegno pacchi per Amazon e ho solo quattro giorni invece di cinque a disposizione, a meno che non sia Harry Potter, è improbabile che riesca a produrre lo stesso risultato. Se invece consideriamo le occupazioni che hanno a che fare con i lavori della conoscenza, le cose cambiano.

Eliminare il superfluo per concentrarsi sull’essenziale

Quando ci riflettiamo, in realtà, sappiamo bene che ci sono giorni in cui siamo dispersivi, non riusciamo a focalizzarci, saltelliamo da un’attività all’altra, di nostra iniziativa o seguendo il flusso delle richieste, delle urgenze, delle priorità inattese, con poca capacità di discriminazione e di negoziazione con gli altri del nostro tempo. In altre giornate, al contrario, sembra che tutto funzioni magnificamente bene: siamo brutalmente focalizzati, veloci, prendiamo decisioni e risolviamo problemi rimanendo costantemente in uno stato di flow.

Fare funzionare le settimane con quattro giorni di lavoro richiede che eliminiamo il ridondante, il superfluo e soprattutto facciamo scelte consapevoli su quello che aggiunge veramente valore, ai clienti, agli stakeholder, a noi stessi; giornate in cui gli obiettivi sono chiari, manteniamo la qualità e non creiamo inutile sovrabbondanza di opzioni, parole, presentazioni, cacofonia di eccessi di tutti i tipi.

C’è, inoltre, un effetto turbo che facilita ulteriormente la produttività. Avendo meno tempo a disposizione, abbiamo una motivazione ulteriore a guadagnarci quella giornata extra per concentrarci sulle nostre necessità personali e preferenze di stili di vita. La consapevolezza di questa opportunità ci farà essere autorevoli e consapevoli utilizzatori del nostro tempo.

Settimana lavorativa di 4 giorni, la legge di Parkinson

A sostegno di questa opportunità economica, c’è la legge di Parkinson, formulata da Cyril Northcote Parkinson nel 1955, che studiò soprattutto i lavoratori della burocrazia pubblica britannica. La legge afferma che il lavoro si espande fino a riempire il tempo a disposizione per completarlo. In altre parole, più tempo viene assegnato a un compito, più tempo ci vorrà per completarlo. Essa è stata ampiamente dimostrata in una varietà di contesti, quindi è considerata scientificamente valida. Le implicazioni della legge di Parkinson per la gestione del lavoro sono che i manager devono essere consapevoli del fatto che più tempo viene assegnato a un compito, più tempo ci vorrà per completarlo. Pertanto, i manager devono essere in grado di gestire le aspettative e assegnare tempi realistici per i compiti. Inoltre, devono essere in grado di monitorare i progressi dei lavoratori e assicurarsi che i compiti vengano completati entro i tempi previsti.

La legge di Parkinson può spiegare perché una settimana di lavoro di quattro giorni può generare una maggiore o uguale produttività. Se un lavoratore ha meno tempo a disposizione per completare un compito, è più probabile che si concentri sull’essenziale e lavori più velocemente, portando a una maggiore produttività rispetto a una settimana di lavoro di cinque giorni. Tutto questo ha una premessa fondamentale: la capacità di apprendimento, motivazione e forza di volontà umane sono una risorsa limitata. È improbabile che tutte le persone a cui venga offerta la possibilità di lavorare il 20% in meno del tempo, siano a lungo termine in grado di aumentare la propria produttività.

Nel periodo sperimentale attuale potrebbe prevalere l’effetto Hawthorne, l’insieme delle variazioni di un fenomeno, o di un comportamento, che si verificano per effetto della presenza di osservatori, ma che non durano nel tempo. Per sostenere stabilmente il risultato positivo è necessario cambiare il processo di produzione strutturalmente. Ce lo ricorda e insegna Henry Ford, l’antesignano della riduzione dei tempi di lavoro da sei a cinque alla settimana, con l’introduzione della catena di montaggio, un sistema in cui sono i pezzi dell’auto a muoversi e gli operai stanno fermi alla postazione, risparmiando tempo di spostamento.

Se consideriamo l’utilizzo estensivo delle tecnologie ad esempio di robotica, automazione, intelligenza artificiale, e così via, possiamo ipotizzare ragionevolmente che tutti i lavori abbiano il potenziale strutturale di aumentare massivamente la produttività. Se il fattorino di Amazon diventa un pilota di droni può consegnare il doppio dei pacchi nella metà del tempo; se qualsiasi lavoro di scrittura testi e creazione grafica (es. presentazione PowerPoint) utilizza ChatGPT e chatBCG, il tempo di produzione diventa una frazione.

Lo Smart Working e la settimana di lavoro di quattro giorni hanno il potenziale di aumentare la produttività, se gestiti molto bene, dal 10 al 20% ma con il turbo della tecnologia, le possibilità diventano esponenziali, su scala mondiale. Una scelta fondamentale da considerare è l’impatto sociale ed economico della sostituzione degli esseri umani da parte della tecnologia.

Se un gran numero di lavoratori viene sostituito da robot e intelligenza artificiale, ciò potrebbe avere effetti negativi quali la disoccupazione e la riduzione del potere d’acquisto. Bisogna considerare l’impatto sulla qualità del lavoro. In alcuni casi evidentemente l’automazione migliora le condizioni di lavoro, fatica fisica e sicurezza, in altri invece potrebbe rendere il lavoro meno stimolante e meno inclusivo. È necessario guidare e facilitare la transizione dando ai lavoratori il tempo e i mezzi per adattarsi e acquisire nuove competenze e trovare un nuovo lavoro.

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