Il lavoro da remoto, resosi necessario per contenere la diffusione del virus Covid-19, ha portato con sé numerosi vantaggi per i lavoratori, le aziende e anche per lo stato, primo tra tutti la possibilità di portare avanti l’attività senza dover incorrere alla cassa integrazione o ad altre forme di sussidio in attesa della fine della pandemia, mantenendo così vivi stipendi e fatturato. Tuttavia, il remote working ha sviluppato diverse problematiche nei lavoratori, una di queste è l’acuirsi del technostress.
Parola coniata nel 1984 da Craig Brod, secondo la definizione più recente data dagli psicologi Michelle Weil e Larry Rosen nel loro libro dal titolo “TechnoStress: Coping with Technology @Work @Home @Play“, il technostress (italianizzato in tecnostress) è “ogni impatto o attitudine negativa, pensieri, comportamenti o disagi fisici o psicologici causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia”. A contribuire alla crescita di questo disagio è la continua pressione dovuta dal dover gestire sempre più informazioni su un numero svariato di canali, lo rivela la ricerca condotta da OpenText, azienda impegnata nel fornire soluzioni e software di Enterprise Information Management.
Indice degli argomenti
Troppe password e dispositivi da monitorare, col lavoro da remoto esplode il technostress
Secondo lo studio realizzato da OpenText quasi un terzo (31%) degli italiani che lavorano in ufficio ritiene di non disporre di strumenti tecnologici e digitali adatti per svolgere le proprie mansioni da remoto, riscontrando difficoltà a gestire adeguatamente il cosiddetto technostress (solo il 15% degli intervistati si sente a proprio agio con il flusso di informazioni cui è sottoposto). Tra le maggiori fonti di tensione, le troppe password da ricordare (39%), l’eccessiva quantità di informazioni e dati da gestire tramite i diversi dispositivi (23%) e i troppi tool da monitorare durante la giornata (22%).
Quasi 3 italiani su 4 (74%) concordano sul fatto che le fonti da controllare ogni giorno siano aumentate negli ultimi 5 anni: dalle email alle notizie, dai social media ai server aziendali, tanto che quasi il 22% del campione utilizza in media più di 10 account ogni giorno (email, app, piattaforme di condivisione, etc.).
I dati suggeriscono come questo sovraccarico di informazioni abbia un impatto significativo sulla vita degli utenti: solo il 36% dei professionisti è in grado di limitare a 3 o meno il numero di risorse cui accedere per completare un progetto lavorativo. Nonostante questo, gli italiani hanno imparato ad essere veloci: 4 professionisti su 10 impiegano meno di 30 secondi per trovare file o informazioni specifici.
“Se da un lato i professionisti si sono dimostrati disposti ad adottare strumenti diversi, dall’altro si stanno delineando due nuove sfide, poste dalla necessità di gestire account e fonti di informazioni molteplici. Le aziende devono quindi saper riconoscere questo fenomeno, cercando soluzioni che riducano le complessità e semplifichino i processi, per offrire esperienze di lavoro in grado di riflettersi positivamente anche sui livelli di produttività”, ha dichiarato Antonio Matera, regional sales director OpenText Italy.
Inoltre, se il remote working fosse adottato a lungo termine, le difficoltà per gli italiani sarebbero di natura sia organizzativa, sia relazionale. A risentire degli effetti del lavoro da remoto prolungato infatti è anche la capacità di mantenere la collaborazione con i colleghi (20%) e i giusti livelli di motivazione (19%).
Gestione delle informazioni e sicurezza
Il technostress non è l’unica conseguenza correlata ad un massiccio carico di informazioni da gestire. A destare le maggiori preoccupazioni per quasi 2 professionisti su 10, rileva lo studio, sono l’accesso a sistemi e file aziendali, ma anche i metodi di condivisione delle informazioni con i colleghi (16%): oltre la metà (54%), infatti, ammette di aver condiviso file aziendali almeno una volta tramite tool personali – molto più di quanto accade ai colleghi spagnoli (22%), britannici (20%) o francesi (17%).
“Una cattiva gestione delle informazioni può avere conseguenze importanti per un’azienda, in termini sia di produttività, sia di sicurezza” ha concluso Matera. “Quando i dati risiedono su sistemi diversi, sono necessari tempo e risorse per accedervi, e può accadere che la sicurezza venga messa in secondo piano dai tentativi di cercare soluzioni alternative per snellire i processi. Archiviazione e gestione manuale delle informazioni, inoltre, sono soggette a errori. Scegliendo soluzioni basate sull’automazione, le aziende possono sfruttare al meglio i propri dati e offrire un’esperienza utente ottimale a dipendenti, clienti e partner, soprattutto nel momento storico attuale”.