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Benessere organizzativo: strategie e strumenti per creare un ambiente di lavoro sano e produttivo



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Tra prestazioni aziendali e condizioni del personale c’è un legame imprescindibile. Dalla promozione di una cultura inclusiva alla sperimentazione di nuove forme lavorative, sono diverse le strade che le organizzazioni possono percorrere per migliorare la stabilità e la motivazione dei dipendenti

Aggiornato il 22 dic 2023



Benessere organizzativo

In un contesto economico e sociale complesso e in continua evoluzione, come quello in cui viviamo oggi, il livello di resilienza e competitività di un’organizzazione dipende sempre più dal benessere organizzativo. Le performance delle aziende sono direttamente connesse alla salute fisica e alla situazione psicologica delle persone: legame ormai inequivocabilmente dimostrato, appare evidente come il prendersi cura dei lavoratori da parte delle aziende non sia più una scelta paternalistica, ma una necessità per guardare con fiducia a un futuro sempre più sostenibile e proficuo.

Definizione di benessere organizzativo

Il benessere organizzativo va oltre il concetto di benessere individuale. Pertanto, si può definire come la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei suoi lavoratori a tutti i livelli e per ogni mansione.

Promuovere il benessere in azienda, spiega l’International Labour Organitation (ILO) con numerosi studi che evidenziano il legame tra produttività e salute dei lavoratori, è cruciale per l’efficacia a lungo termine dell’organizzazione. Di contro, la mancanza di attenzione al benessere può generare problemi come stress, conflitti e disturbi di salute mentale. Soluzioni come una leadership consapevole, una comunicazione efficace e l’attenzione allo sviluppo sono essenziali per creare un ambiente di lavoro positivo e soddisfacente.

Come si raggiunge il benessere organizzativo

Per promuovere il benessere organizzativo e migliorare la soddisfazione dei dipendenti, i manager possono adottare sette strategie chiave, come delineato in un articolo di Harvard Business Review redatto da professoresse del MIT e di Harvard:

  1. Concedere più controllo. Dando ai lavoratori la possibilità di decidere come svolgere il loro lavoro favorisce il benessere organizzativo. La mancanza di discrezionalità è associata a una peggiore salute mentale e a tassi più alti di malattie cardiache.
  2. Flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro. Offrire ai dipendenti più flessibilità sui tempi e sui luoghi di lavoro migliora la salute mentale. Consentendo variazioni negli orari e semplificando gli scambi di turni si contribuisce al benessere.
  3. Stabilità degli orari. Evitare la pianificazione “just in time” per garantire più stabilità ai lavoratori, specialmente nel settore retail. Si ottiene così più qualità del sonno e si riduce lo stress, soprattutto per chi ha responsabilità familiari.
  4. Partecipazione alla risoluzione dei problemi. Offrire ai dipendenti l’opportunità di individuare e risolvere problemi sul posto di lavoro può ridurre il burnout e aumentare la soddisfazione lavorativa.
  5. Adeguato personale. Garantire un numero sufficiente di dipendenti per carichi di lavoro ragionevoli è cruciale. Pretese consistenti possono influire negativamente sulla salute e il benessere dei dipendenti.
  6. Supporto alle esigenze personali. Incentivare i manager a sostenere le necessità dei dipendenti, specialmente di coloro che si occupano di bambini o genitori anziani, promuove un ambiente di lavoro equilibrato tra vita professionale e personale.
  7. Cultura del lavoro e appartenenza sociale. Adottare misure per promuovere un senso di appartenenza sociale tra i dipendenti, creando una cultura del lavoro in cui sviluppare relazioni di supporto tra i colleghi può aumentare il benessere organizzativo.

La situazione nelle aziende italiane

A guardare lo stato del benessere organizzativo nelle aziende italiane la situazione non è certo delle migliori. Stando a quanto rilevato dalla Hr Trends & Salary Survey 2023, la ricerca realizzata da Randstad Professionals in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica mettendo a confronto le opinioni di 300 responsabili delle Risorse Umane e di 630 potenziali candidati (occupati e non occupati), emerge un netto scollamento sulle preoccupazioni percepite da HR e lavoratori. Il 40% dei candidati indica fra le principali preoccupazioni il malessere psicologico, poi le minori opportunità di carriera (32%) e la difficoltà a conciliare vita privata e lavoro (31%); per gli HR, invece, i lavoratori sono preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese (38%).

Così come un forte scollamento si rileva per quanto riguarda il livello di benessere o malessere percepito all’interno dell’organizzazione, sebbene per il 70% degli HR e per il 60% dei candidati il tema del benessere sia diventato più importante in azienda nell’ultimo anno. Mentre dunque gli HR reputano vi sia un generale miglioramento, i candidati segnalano un peggioramento delle condizioni rispetto allo scorso anno, con riduzione dei livelli di benessere e aumento dei livelli di malessere. I dati dicono infatti che: il benessere migliora per gli HR (il 43%, contro il 34% dello scorso anno), ma peggiora per i candidati (il 19%, contro il 33% del 2022); il livello di malessere migliora per gli HR (solo l’1% lo percepisce, contro il 19% del 2022), ma peggiora per i candidati (il 15%, contro l’11% di un anno fa). Sia HR che candidati rilevano tra i principali elementi di malessere il sovraccarico di lavoro (in forte crescita per i candidati) e la mancanza di motivazione, ma gli HR evidenziano anche stress e ansia e mancanza di obiettivi, i candidati sovraccarico di lavoro, insoddisfazione per gli incarichi e impossibilità di fare salti professionali.

Il disallineamento di questi punti di vista riduce il margine di comprensione tra le due parti in causa che, nei casi più gravi, può sfociare in situazioni burnout, fenomeni di quiet quitting, sino alle dimissioni.

Il percorso verso un’azienda sana

Secondo Josh Bersin, l’esperto americano di HR per tanti anni ricercatore e consulente Deloitte in questo ambito nonché fondatore della omonima Josh Bersin Academy, esistono quattro livelli che un’organizzazione deve superare per dirsi realmente sana.

Livello 1: sicurezza dei dipendenti

Ad un livello di maturità più basso, le aziende si concentrano sulla sicurezza sul lavoro. Questa dimensione ha molti significati: la sicurezza fisica è fondamentale, ma lo è anche quella psicologica per parlare apertamente e fare domande, quella di poter essere se stessi, quella di prendersi una pausa o rallentare, e poi c’è la sicurezza di leadership per sentirsi inclusi, rispettati e ascoltati. Dunque, prima di tutto, un’azienda sana è un’azienda sicura.

Livello 2: benessere dei dipendenti

Al livello successivo di investimento, le aziende hanno creato programmi di benessere, spesso esauriti nel reparto benefit e comprendono dozzine o centinaia di opzioni. Software per il wellbeing come Gympass o Jointly, per esempio, offrono una vasta gamma di programmi di fitness, salute mentale e resilienza. Tuttavia nessuno strumento o app può aiutare le riunioni a essere più produttive, quindi si passa al livello 3: attenzione al lavoro sano.

Livello 3: lavoro sano

La progettazione del lavoro e le pratiche di gestione sono tra gli aspetti più importanti che concorrono alla salute dell’azienda. Quando le persone sentono di avere gli strumenti, le risorse e il tempo giusti, si sentono rilassate e produttive sul lavoro. Succede infatti, racconta Bersin, che i Wellbeing Manager affermino di avere molti programmi per il benessere, stanze per il pisolino e benefit, ma che la gente continui a chiedersi quando avrà il tempo per fare queste cose.

Livello 4: organizzazione sana

Al livello 4 le organizzazioni vanno oltre. Esaminano il modello di leadership, le opportunità di crescita e la salute generale dell’azienda dall’alto verso il basso.

È importante sapere che le aziende che si trovano al livello 4, afferma Bersin sulla base delle ricerche effettuate, hanno quasi quattro volte più probabilità di essere leader di mercato e con le migliori performance finanziarie nel loro settore.

Sperimentazioni di benessere organizzativo: Smart Working e settimana lavorativa di 4 giorni

L’esperienza del Covid-19 ha messo in evidenza all’interno delle organizzazioni come lo Smart Working sia molto apprezzato dai lavoratori che riescono a trovare un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata, si sentono meno stressati e dunque più produttivi. Ad oggi in Italia, rivelano i dati dell’ultimo Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, quasi tutte le grandi imprese (96%) prevedono al loro interno iniziative di Smart Working, che è presente anche nel 56% delle PMI e nel 61% degli enti pubblici. La tendenza è in crescita e nel 2024 si stima gli smart worker raggiungeranno quota 3,65 milioni. L’Osservatorio però mette in guardia: non sempre il lavoro da remoto porta a modelli realmente “smart”, sono solo i “veri” smart worker, ossia quelli che oltre a lavorare da remoto hanno flessibilità di orari e operano per obiettivi, a presentare livelli di benessere ed engagement più alti dei lavoratori tradizionali in presenza.

Ma se la flessibilità è diventata una delle porte d’ingresso per raggiungere la salute organizzativa, essa può essere declinata in vari modelli. Tra le ultime sperimentazioni alle quali stiamo assistendo c’è la settimana lavorativa di quattro giorni. E così realtà come Luxottica, Lamborghini, Intesa Sanpaolo e altre si apprestano a fare test mixando gli elementi contrattuali, tutto ciò sempre con l’obiettivo di aumentare il benessere delle persone e quindi dell’organizzazione, e di conseguenza engagement e produttività.

Come si misura il benessere organizzativo: strumenti e indicatori da monitorare

Misurare il benessere organizzativo è un’attività fondamentale per creare un ambiente di lavoro sano. Solo tenendo sotto controllo gli indicatori principali è possibile fare una valutazione reale del clima aziendale e apportare miglioramenti là dove necessario. Sondaggi, interviste, focus group tra i dipendenti sono alcuni degli strumenti utilizzati dalle Risorse Umane, che oggi possono fare affidamento anche sui software di HR Analytics. Queste piattaforme forniscono alle aziende insight e informazioni approfondite sulle prestazioni, la produttività e il coinvolgimento dei dipendenti valutando, attraverso l’elaborazione di molteplici dati provenienti da più fonti, aspetti come le prestazioni dei dipendenti, il tasso di turnover, il livello di engagement.

Ma vediamo più nel dettaglio quali sono i principali indicatori chiave (KPI) del benessere organizzativo:

  • Indice di soddisfazione dei dipendenti. Valuta la soddisfazione complessiva attraverso indagini sulla cultura aziendale, leadership e percezione del lavoro e si ottiene calcolando l’indice che prende il nome di eNPS (Employee Net Promor Score).
  • Analisi dei livelli di stress e burnout. Utilizza dati da indagini per identificare fonti di stress e implementare misure preventive.
  • Tassi di assenteismo e rotazione del personale. Monitora assenze e rotazioni per valutare lo stress e l’insoddisfazione.
  • Indicatore di coinvolgimento dei dipendenti. Misura il coinvolgimento attraverso partecipazione alle riunioni e la collaborazione, riflettendo un ambiente di lavoro positivo.
  • Indicatore di performance. Esamina la produttività, la qualità del lavoro e la soddisfazione del cliente, evidenziando il collegamento positivo con il benessere organizzativo.
  • Numero di incidenti sul lavoro. Considerando che in qualsiasi luogo di lavoro la sicurezza è una delle misure di benessere più importanti (vedi i livelli di benessere sopra), monitora i tassi di infortuni con l’obiettivo di garantire che il luogo sia sicuro.

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