INTERVISTA

Marini: «In azienda serve una Comunicazione positiva e costruttiva»



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Molti dei problemi nelle organizzazioni e nei team sono causati da un modo scorretto di relazionarsi e comunicare, ecco perché sono aspetti che non possono essere trascurati e che vanno allenati costantemente. Alcuni spunti su cosa fare nell’intervista a Valentina Marini, LinkedIn Top Voice Lavoro e Carriera

Pubblicato il 11 set 2023

Veronica Franco

Digital Marketing Specialist, Digital Attitude



Valentina Marini

La comunicazione è un tassello fondamentale per ricostruire la relazione con le persone in azienda. E quindi eccoci con il secondo articolo della rubrica “(in)connessione: dialoghi digitali sulla comunicazione“, nata per immergersi nel mondo della comunicazione, dell’innovazione digitale e della tecnologia grazie alla voce e all’esperienza di alcune LinkedIn Top Voices, instaurando un dialogo, una fucina di idee, intuizioni e connessioni umane e digitali.

Voce a Valentina Marini

Questa volta abbiamo intervistato Valentina Marini, senior HR consultant, formatrice, esperta di comunicazione ed employer branding, nonché, appunto, LinkedIn Top Voice Italy.

Who's Who

Valentina Marini

Senior HR consultant, formatrice, esperta di comunicazione e employer branding

Valentina Marini

Su quali argomenti ti concentri come LinkedIn Top Voice e perché hai scelto proprio quelli?

Sono varie le categorie per i “Top Voice” su LinkedIn. Io nel 2022 sono stata nominata dalla redazione del social per quella “Lavoro e Carriera”. Effettivamente i miei contenuti si concentrano sul miglioramento del lavoro all’interno delle organizzazioni, sui trend HR e sui tips per lo sviluppo e la carriera.

Collaborando da alcuni anni come consulente per diverse organizzazioni – seguendo progetti con l’obiettivo di innovare e migliorare il benessere delle persone sul lavoro attraverso la formazione, la comunicazione interna, ecc. – ho la possibilità di osservare, ascoltare e studiare molto; ciò che faccio mi piace e quindi lo condivido con la rete di LinkedIn per contribuire alla crescita professionale comune.

Se avessi la possibilità di diventare una supereroina per un giorno, quale superpotere sceglieresti e come lo utilizzeresti nel mondo del lavoro?

Con un po’ di fantasia ti dico che il superpotere che desidererei sarebbe quello di attivare l’energia positiva nelle persone. Perché amo vedere la luce negli occhi delle persone e vorrei utilizzare questa capacità per risvegliare coloro che si sentono spenti e demotivati.

C’è una famosa frase di Ralph Waldo Emerson che afferma: “Il mondo appartiene agli energici”. Credo fortemente in questa frase e sono convinta che le persone con un’energia positiva possano davvero migliorare il mondo, ma con un po’ di realismo devo ammettere che ci sono momenti in cui alcune persone possono sentirsi demotivate a causa di varie circostanze attorno a loro.

Nelle organizzazioni, come consulente HR, riesco a lavorare su progetti che possono aiutare a migliorare la situazione delle persone, ma devo ammettere che alcune hanno una propensione a cadere nell’energia negativa e, secondo me, non c’è nulla di peggio della diffusione di questa negatività nelle organizzazioni. Ecco perché considero questo un superpotere, perché sarebbe bellissimo (e un po’ irrealistico appunto) poter eliminare del tutto quella negatività che inquina l’intero team, anche perché quest’ultima si diffonde molto più rapidamente della positività.

Tuttavia, questa considerazione mi spinge a ricordare l’importanza di circondarci di persone con un’energia positiva e di intervenire prontamente quando si percepisce un’energia negativa all’interno del team. Questo aspetto viene spesso sottovalutato nelle organizzazioni, ma è fondamentale per mantenere un ambiente di lavoro sano ed efficace.

Quindi, costruendo sul tema di cui stiamo parlando, una cosa che non mi stanco mai di ribadire durante i corsi o gli incontri con le persone è l’importanza della comunicazione positiva, potenziante e costruttiva. Cerco sempre di trasformare i messaggi in modo positivo, poiché voglio ricordare a tutti quanto sia significativo l’uso delle parole. Quando si utilizza una comunicazione negativa, si finisce per auto influenzarsi negativamente e diffondere demotivazione. Ecco perché un esercizio pratico, che magari non è un vero superpotere, potrebbe essere il seguente: fare uno sforzo quotidiano per mettere in atto un’interazione positiva e potenziante. Cerchiamo di esprimere ciò che vogliamo dire in modo positivo, perché questo migliorerà la nostra vita lavorativa quotidiana e, secondo me, contribuirà a rendere migliore il mondo intorno a noi.

Oggi la comunicazione non è più solo un tema legato al team omonimo (o ai verticali di contenuto), ma è diventata un vero e proprio bisogno per ricostruire la relazione con le persone.

Cosa ne pensi? Quali sono, secondo Valentina Marini, le priorità sulle quali i decision makers o una corretta governance della comunicazione dovrebbero ragionare?

Questo è un tema a me molto caro, perché credo che le organizzazioni siano ancora divise tra quelle che hanno ben chiara l’importanza della comunicazione e la vivono come un must essenziale per essere organizzazioni più efficaci, e quelle che, invece, continuano a considerarla come un nice to have, secondaria. In realtà, la comunicazione fa accadere le cose, è il nostro quotidiano. È il più grande abilitatore. Pensiamoci, non c’è attività lavorativa in cui lo scambio di informazioni, sia essa un’e-mail o un’interazione tra due o più persone, non sia fondamentale.

Qualche mese fa ho condiviso un post sulla cosiddetta “cultura del mancato feedback”, in cui sottolineavo che ci sono persone che hanno fatto propria l’abitudine di non rispondere. In quel post ho lanciato anche una provocazione, riprendendo il primo assioma della comunicazione della Scuola di Palo Alto (Watzlawick): “Non si può non comunicare”. Infatti, lo facciamo anche quando non rispondiamo a una e-mail o quando ignoriamo una persona. Non possiamo quindi pensare che non rispondere o stare in silenzio siano aspetti secondari, poiché dietro a ogni mancanza di risposta c’è comunque un impatto, con la creazione di voci di corridoio e implicazioni varie.

La comunicazione è un processo di estrema importanza che va governato assolutamente, pensandolo in modo strategico. Questo vale non solo per quella esterna istituzionale, ma anche per la quella interna e organizzativa.

Un’altra considerazione per i Decision Maker è legata allo sviluppo e all’allenamento delle competenze di comunicazione per tutti in azienda: non servono solo a specifiche professioni, poiché il lavoro quotidiano è principalmente basato sullo scambio di informazioni, sull’utilizzo di strumenti e sulla scelta delle parole da utilizzare o meno. E per questo suggerirei di iniziare a vedere “obbligatoria” e per tutti in organizzazione la formazione in questo campo, perché è un aspetto su cui dobbiamo sempre riflettere e che richiede aggiornamento in base agli strumenti che cambiano ed evolvono. La formazione in questo ambito dovrebbe essere continua, soprattutto ora, in un’epoca di trasformazione digitale in cui gli strumenti e le funzionalità per comunicare aumentano costantemente.

Molti dei problemi nelle organizzazioni e nei team sono causati dalla relazione e dalla comunicazione. Per questo non può essere trascurata e va allenata costantemente.

Abbiamo condotto una ricerca sui dati di utilizzo delle e-mail utilizzando un campione di circa 300.000 persone provenienti da diverse aziende italiane. Dai dati emersi, risulta che ogni giorno il 28% delle e-mail viene totalmente ignorato. Inoltre, maggiore è il numero dei destinatari di una comunicazione, maggiore è la percentuale di mail ignorate (si arriva quasi all’80%).

Dal tuo punto di osservazione, riscontri questa tendenza? L’efficacia dei “canali tradizionali” della comunicazione d’impresa sta diminuendo?

A mio avviso le e-mail non smetteranno mai di essere di prioritaria importanza, poiché vengono percepite come veri e propri “documenti ufficiali” e tutte le comunicazioni importanti rimarranno su questo mezzo. Tuttavia, è vero, come anche la vostra ricerca ha rivelato e come ho anticipato nella risposta precedente, che tra i tanti strumenti per comunicare cresce la brutta abitudine del mancato feedback (anche perché tendiamo a sovra-comunicare con troppi strumenti…).

Per questo credo servano regole specifiche, come formazione ad hoc. Formazione che a mio avviso dovrebbe partire il prima possibile. Ad esempio, secondo me, oggi gli studenti non dovrebbero laurearsi senza aver ricevuto anche una formazione specifica in merito, poiché ahimè, non tutte le organizzazioni dedicano la giusta attenzione a questo aspetto fin dalla fase di on-boarding.

Senza queste regole e formazione, si ricevono troppe e-mail, o scritte e-mail, aumentano le non risposte e tanti altri comportamenti da evitare nella comunicazione efficace in organizzazione. Quindi per me è fondamentale avere due cose: indicazioni chiare fornite dall’organizzazione e una formazione di base per trasmettere buone abitudini come, ad esempio, l’attenzione all’orario di invio e la scelta dei destinatari in modo appropriato.

In che modo la personalizzazione dei contenuti sta diventando sempre più importante? Qual è il tuo punto di vista, anche alla luce delle ultime innovazioni tecnologiche come ChatGPT e l’intelligenza artificiale?

Credo fermamente che la personalizzazione è e sarà sempre il vero elemento che conferisce valore alla comunicazione e al personal branding. Per me la personalizzazione è sinonimo di autenticità, l’ingrediente essenziale che fa emergere la nostra unicità. L’esatto opposto delle mode e di quello che vedo ad esempio in alcuni social network, che più di recente sono stati invasi da format standardizzati e tutti uguali dove leggendo la frase di una persona ti sembra di aver letto la frase di tutti pur essendo diverse. Questo, a mio parere, è molto lontano da un impatto reale, che lascia il segno.

Credo che l’impatto (quindi risultati concreti nel mondo del lavoro) e la personalizzazione siano strettamente correlati. In un mondo dove tutti i contenuti sono uniformi, è molto difficile ottenere un risultato significativo.

Quindi, in sintesi, la personalizzazione è fondamentale, ma avvalersi di nuovi strumenti per aiutarci e facilitarci può comunque tornare molto utile ad esempio per ispirarci con nuove idee o a sbloccare chi soffre del cosiddetto “blocco da foglio bianco”.

Però, non dobbiamo dimenticare che la personalizzazione e l’autenticità sono ciò che garantisce un impatto duraturo nel medio e lungo termine. Uno stile unico e autentico viene premiato. Non significa che tutti dobbiamo essere originali a tutti i costi, ma dobbiamo trovare il nostro modo. Non è necessario inventare chissà cosa, bensì seguire il nostro pensiero e chiederci “chi siamo noi”.

La governance della comunicazione aiuta le organizzazioni a comunicare in modo più efficace, riducendo il rumore e concentrandosi sull’importanza, le priorità e l’interesse. In sostanza, si cerca di farlo meno per farlo meglio!

Quali esperienze hai in merito a questo tema, come Valentina Marini in veste di LinkedIn TopVoice? Come pensi che le aziende stiano affrontando questa sfida?

Credo che, come organizzazione, sovra-comunicare sia preferibile al non farlo affatto. E perché? Perché le comunicazioni chiare e puntuali provenienti dall’organizzazione evitano il rumore di fondo di cui hai parlato e sono in grado di sottolineare sempre le priorità e l’interesse. Quindi, per ridurre quelle superflue, cioè i rumori di sottofondo e i passaparola, è necessaria una governance. Tutto ciò che non viene esplicitato diventa oggetto di passaparola e di fraintendimenti.

Spesso si tende a fare l’errore di investire maggiormente nella comunicazione esterna. E ti faccio un esempio concreto parlando di “Employer Branding”. Quando si tratta di valorizzare l’azienda come un luogo attraente in cui lavorare, attraverso strategie di comunicazione e marketing per attrarre e trattenere “talenti” (non entro sul significato di questa parola…) interni ed esterni, spesso si commette l’errore di concentrarsi solo sugli aspetti esterni: si organizzano iniziative nelle scuole, nelle università, si creano gadget, ma si dimentica che bisogna partire dall’interno dell’azienda.

Le persone felici sono i promotori più credibili ed efficaci: non esiste una buona strategia verso l’esterno se le persone non si sentono bene all’interno dell’organizzazione. Pertanto, se non mi concentro prima di tutto sulla comunicazione interna, sull’ascolto delle persone e sulle iniziative per il loro benessere, il mio employer branding non avrà mai un vero e duraturo impatto positivo verso l’esterno. Se le persone che vivono l’azienda diffondono un passaparola negativo, vanificano ogni bella o innovativa iniziativa pensata per attrarre le persone dall’esterno. Il cosiddetto “cliente interno” è il primo ambasciatore e il principale sostenitore dell’azienda come luogo ideale in cui lavorare.

Last but not least… conosci già piattaforme digitali che innovano in questo settore?

Avendo avuto la possibilità di osservare il mondo delle startup negli ultimi anni, posso affermare che ci sono sicuramente delle proposte interessanti sul mercato. Pertanto, il mio invito ai colleghi HR è quello di guardare costantemente ciò che il mercato offre e innova.

Tuttavia, voglio condividere una riflessione che ho fatto quest’anno mentre esploravo le varie soluzioni proposte. Ho sentito fortemente il bisogno di dir loro: “Non tutto e sempre deve essere digitale”. Se voglio coinvolgere le persone, ho bisogno anche della presenza fisica. Siamo in un periodo di ricostruzione delle relazioni, quindi è fondamentale trovare il giusto equilibrio tra tecnologia e presenza. La tecnologia è uno strumento, un facilitatore fondamentale ma le esperienze che lasciano il segno devono incentrarsi sull’umanità, sulle connessioni concrete e tangibili, che passano dalle emozioni, al di là del digitale.

Credetemi, è un pensiero da promotrice della tecnologia. Promozione però non equivale a sostituzione e questa è la mia visione di innovazione nelle relazioni umane. Le nuove piattaforme possono fornirci grande valore sotto tanti aspetti, ad esempio nel colmare la distanza esistente tra le informazioni, i contenuti, le attività e i valori presenti all’interno delle organizzazioni con l’esperienza che di questi ne fanno, nel quotidiano, le persone.

Un utile esempio è il vostro “hi Platform”, il software SaaS e white-label, dove è l’informazione e la comunicazione ad arrivare alle persone e non viceversa. Uno strumento che permette di valorizzare la relazione con ogni persona o gruppo di persone attraverso messaggi contestuali e personalizzati e che incoraggiano anche all’azione e alle attività (approccio conosciuto come nudge-tech).

Ecco, continuando su questo esempio, l’approccio più costruttivo, come fa ad esempio hi Platform, nel caso di un evento in presenza, è quello di essere un alleato nelle fasi pre e post evento, senza sostituire mai le esperienze in presenza delle persone ma facendosi, anzi, amplificatore di esse.

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