REPORTAGE

Le tendenze HR, attuali e future, che guideranno il cambiamento del mondo del lavoro

Top Employers Trending Talks - Gli highlights di Massimo Begelle


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Le persone, con i loro bisogni e priorità, sono oggi il cuore pulsante delle organizzazioni. Un trend, questo, che caratterizza l’anno in corso, ma che è destinato a diventare una costante anche nel prossimo futuro. Il racconto dell’evento Top Employers Trending Talks 2023, con le testimonianze di Bosch Rexroth, EY, Olympus e Smurfit Kappa

Pubblicato il 20 giu 2023




Nel 2023 il focus delle strategie HR si sta spostando sempre più sulla persona e i suoi bisogni. C’è un fil rouge che collega queste tendenze con la recente storia passata: nel 2022 infatti, complici i nuovi modelli di lavoro mutuati dall’esperienza della pandemia e la diffusione del digitale anche nelle pratiche quotidiane di lavoro, l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’Employee Experience, sul liberare il potenziale dei dipendenti e sul riportare a bordo le persone “involved”.

È da qui che ha preso avvio la giornata di lavoro dell’edizione 2023 del Top Employers Trending Talks, un’occasione per parlare delle tendenze, attuali e future, che guideranno il cambiamento del mondo HR nei prossimi anni, con la testimonianza di realtà di primo piano del panorama italiano: Bosch Rexroth, EY, Olympus e Smurfit Kappa.

Le tendenze HR 2023 di Top Employers Insitute

Come ha raccontato Massimo Begelle, Regional Manager Italy and Spain di Top Employers, l’Istituto ha individuato 3 nuove macro trend.

«Innanzitutto, oggi è necessario puntare su una Employee Experience “super-personalised”, cucita su misura. Si deve passare dalla People Strategy alla Person Strategy, e customizzare al massimo quello che si offre alle persone. Il secondo trend è legato all’ascolto del battito dell’organizzazione per comprendere profondamente quello che accade e su cosa lavorare. Per farlo è necessario potenziare alcune competenze, prime fra tutte la capacità di relazionarsi e l’ascolto empatico, per riuscire a tradurre quello che le persone chiedono. E infine c’è il saper generare un impatto positivo, un purpose che sia vissuto nel quotidiano e che diventi una luce che illumina le strategie».

Quello che si evince dai numeri dell’indagine che l’Osservatorio Top Employers ha condotto sulle aziende certificate è che le aziende italiane stanno acquisendo consapevolezza dell’importanza che ha oggi lavorare sull’Employee Experience: lo dimostrano le diverse iniziative che le organizzazioni hanno messo in piedi.

«Il 92%, ad esempio, applica l’on-boarding journey, il 77% propone workshop di formazione per percorsi di carriera, l’89% lavora per il coinvolgimento dei dipendenti in Talent Attraction. E poi, c’è un 62% che ha intrapreso dei percorsi di coaching e sviluppo delle persone e il 77% ha introdotto una wellbeing strategy (77%)», ha sottolineato Davide Banterla, Senior Regional Account Manager Italy, Romania, Greece, Turkey & Middle East di Top Employers Insitute.

Tuttavia, per quanto riguarda l’ascolto le risposte delle aziende del campione coinvolto dall’Osservatorio mostrano che ancora ci sono ampi spazi di manovra: solo un’azienda su due tra i Top Employers Italia 2023 ha adottato un approccio integrato di tecniche specifiche e appena il 46% dispone di una strategia di ascolto attivo.

Ma per dare il riscontro corretto alle persone non è sufficiente cambiare il modo di chiedere e recepire i feedback, bisogna ripensare le strategie di leadership affinché le organizzazioni siano in grado di dare le giuste risposte, attraverso contenuti personalizzati per lo sviluppo di percorsi sulle competenze di chi guida le persone (presenti nel 57% delle aziende ingaggiate dall’Osservatorio), un lavoro sistematico (67%), l’adozione di un modello delle competenze aggiornato (92%), richiedere feedback sulle competenze di leadership (60%).

I risultati dell’Osservatorio HR del PoliMi delineano le tendenze HR in Italia

«Ci troviamo in una fase di permacrisi, caotica e poco comprensibile, che non può non aver ripercussioni sul mondo del lavoro e sulle persone», ha ribadito Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano.

Questa incertezza ha, infatti, ricadute sulla relazione tra organizzazione e lavoratori: cresce il senso di instabilità, soprattutto sulle nuove generazioni i sogni e le aspirazioni sembrano essere lontani dalla relazione lavorativa. E viene meno il concetto stesso di rapporto di lavoro.

«Uno dei fenomeni che deriva dallo scollamento tra le nuove esigenze e la capacità delle imprese di comprendere quello che sta accadendo è la Great Resignation. Un fenomeno che in Italia è ben più grave e profondo di quello che ci si aspetterebbe. I numeri sono impressionanti: il 46% dei lavoratori italiani o sta cercando di cambiare lavoro o intende farlo. Tra la Gen Z la percentuale di “intenders” (i ragazzi che vorrebbero cambiare lavoro) tocca il 77%».

A colpire sono anche i dati su chi si è pentito di aver cambiato lavoro (quasi la metà dei lavoratori intervistati dall’Osservatorio) e quelli full engaged (passati dal 26% del 2020 al 13% del 2023): numeri sintomatici di un forte disallineamento tra le aspettative di flessibilità, equilibrio e spazio per le passioni individuali e le risposte che con i loro modelli manageriali e di leadership le organizzazioni riescono a offrire. Inevitabilmente, tutto questo in alcuni casi sfocia poi nel malessere individuale: appena l’11% dei lavoratori sta bene dal punto di vista relazionale, psicologico e fisico.

Corso ha poi raccontato della polarizzazione degli approcci alla gestione vita lavorativa-privata che vede da una parte i work-life integrator (43%) e dall’altra i work-life separator (57%). Con un monito: laddove le organizzazioni non intervengono per gestire situazioni limite c’è il forte rischio di ricadere in approcci patologici, come quello dei job creeper (1,1 milioni in Italia), che non riescono a staccare dal lavoro, e quello dei quiet quitter (2,3 milioni), coloro che fanno il minimo indispensabile perché totalmente demotivati con comportamenti apatici.

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Anna Saccon, Bosch Rexroth: «Per rinnovare la strategia HR bisogna cambiare prospettiva»

Di Person Strategy ha parlato Anna Saccon, HR Head coordination Europe South di Bosch Rexroth. «Capire e sistematizzare il concetto di talento è da sempre un’ossessione – ha detto la Manager -. Spesso, non ci si rende conto che è complesso definire l’inafferrabile che cambia anche in base al contesto. Il passo che deve fare chi si occupa di risorse umane in azienda è comprendere che è inutile cercare di circoscriverlo e blindarlo».

Proprio partendo da questo presupposto la Manager ha lavorato con il suo team e con l’azienda per ribaltare i vecchi paradigmi e puntare sul fatto che ognuno nelle organizzazioni ha delle peculiarità che lo rendono utile e importante: «Nessuno è un supereroe. Esiste una biodiversità di talenti molto importante per le aziende e tutte le persone sono key people. Questo fa sì che il compito dell’HR sia quello di valorizzare chiunque e fare un match con le esigenze di mercato. Non è più solo un percorso inclusivo, ma anche di business».

E tutto questo è possibile facendo leva sulla formazione e sull’analisi del percorso evolutivo di ciascuno. «Noi stiamo cercando di stimolare ognuno nella nostra organizzazione a tenere due fiammelle accese: quella personale che dà la centratura e quella della performance che proietta nel percorso di carriera. Chiediamo ai collaboratori di disegnare la loro storia. Valorizzare questa storia porta l’organizzazione a mappare i singoli talenti delle persone e i manager a conoscere chi lavora con loro in modo più completo rispetto al passato, con importanti ricadute sulla loro valorizzazione», ha ribadito Saccon.

E Bosch Rexroth ha investito nel progetto “upgrade your mind”, un percorso volto a creare un ecosistema a 360 gradi volto ad aiutare i dipendenti a sprigionare il loro potenziale, con iniziative fisiche e digitali. A partire, ad esempio, dal ripensare gli spazi creando dei luoghi che permettono alle persone di incontrarsi, collaborare e fare brainstorming, o rilassarsi (come la sala lettura) o praticare yoga. E poi c’è l’aspetto individuale, valorizzato anche attraverso il digitale: un esempio sono gli spazi virtuali di confronto tra capi, collaboratori ed HR.

Saccon: «Per rinnovare la strategia HR bisogna cambiare prospettiva»

Silvia Zanella, EY Italy: «Avere un ascolto attivo per migliorare l’Employee Experience»

Sull’importanza dell’ascolto, un’altra delle tendenze HR, è intervenuta Silvia Zanella, Employee Experience and Employer Branding Leader di EY Italy, una delle Big Four che negli ultimi quattro anni ha visto i suoi dipendenti italiani passare da 5.500 a 8.500 mila e il turnover dal 26% al 20%. «L’ascolto è una leva strategica per migliorare l’esperienza delle persone in azienda», ha raccontato in apertura del suo intervento.

«E noi lo abbiamo inserito come aspetto centrale su 3 touchpoint. L’onboarding, che interessa persone che provengono da diverse parti d’Italia (dalle 50 su Bari alle 400 su Milano). Abbiamo intrapreso un percorso che, partendo dall’analisi di tutte le survey di ingresso (compilate dopo una settimana e dopo tre, sei e dodici mesi) con l’obiettivo di individuare i punti di debolezza del processo, ci ha portati a coinvolgere le persone per sapere che tipo di onboarding si sarebbero aspettate per ridisegnarlo».

Adesso, il nuovo percorso prevede l’utilizzo del mataverso in cui si può cominciare a familiarizzare con EY prima di entrare di azienda, un accompagnamento fisico in azienda il primo giorno per conoscere gli ambienti, e un training in presenza di 8 ore in cui si alterna la parte ispirazionale a quella fisica. Il tutto si conclude con un welcome digital training per gli aspetti più pratici (ad esempio il timesheet). «La cosa incredibile è che ogni nuovo percorso è differente rispetto al precedente: cambia perché si continuano ad ascoltare attivamente le persone», ha ribadito Zanella.

Il secondo touchpoint è lo Smart Working. La definizione del modello di flessibilità massima e cultura collaborativa è stata gestita in co-progettazione e co-design, e ha visto la nascita di un manifesto che è stato un po’ la stella polare. Anche in questo caso in EY il processo viene reiterato: «A distanza di tre anni ora siamo nuovamente in fase di ridisegno partendo da una domanda: “Quello che era vero tre anni fa lo è ancora?”».

Il terzo touchpoint è quello della licensing survey. «Dall’analisi dei questionari compilati dalle persone che sono uscite dall’azienda, ci siamo resi conto che in molti casi emergevano delle persone che avevano avuto un ruolo importante e positivo nel cammino che il dipendente uscito aveva fatto in EY. A quel punto abbiamo deciso attraverso una comunicazione ufficiale dell’AD di condividere in forma anonima i feedback positivi con le persone che li avevano ricevuti. In questo modo abbiamo tradotto l’ascolto in un’azione che ha una ricaduta positiva», ha concluso Zanella.

Zanella: «L'ascolto è una competenza chiave per migliorare l'Employee Experience»

Business with purpose: riflessioni tra il CEO di Olympus Italy e il CEO di Smurfit Kappa Italy

Il purpose è la ragione d’essere di un’azienda, la sua missione che va oltre al semplice obiettivo di fare profitti e che mira ad avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente.

E per le organizzazioni avere un purpose chiaro e ben definito è importante perché consente di creare un legame più forte con clienti, dipendenti e stakeholder, che si identificano con i valori e gli obiettivi dell’azienda. Non solo, consente di avere maggiori probabilità di attrarre e trattenere talenti, di essere visti come una realtà etica e responsabile e di ottenere più fiducia e reputazione nel mercato. Infine, il purpose può anche contribuire a stimolare l’innovazione e la creatività all’interno dell’azienda, dando una direzione per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.

A ribadirlo è stato Gianluca Castellini, CEO di Smurfit Kappa Italy, azienda che opera nella produzione di packaging in cartone ondulato, carta in bobina e bag-in-box: «La nostra azienda lavora la carta, che è un elemento naturale, e il nostro purpose è creare, proteggere e prendersi cura di questo bene. Abbiamo due cartiere dove produciamo solo carta riciclata, che può essere riutilizzata fino a 7 volte. Parlare di purpose serve sì ai nostri dipendenti per indentificarsi nei valori dell’azienda, ma serve anche alle aziende per raccontarsi. Ed è fondamentale che sia condiviso da tutti i dipendenti: lavorare per un’azienda che non ti rappresenta non fa bene alla persona e non fa bene al business, e non è un caso che il disallineamento sfoci poi in un cambio di rotta del dipendente. Serve quindi un cambiamento culturale, ma senza fare il passo più lungo della gamba: noi, ad esempio, stiamo lavorando sul purpose personale e chiediamo ai c-level che tipo di manager vorrebbero essere, come vorrebbero essere ricordati: puntiamo molto sul concetto ‘sii il manager per cui tutti vorrebbero lavorare’. Quello che vogliamo fare è cogliere il potenziale delle persone e portarle a raggiungere i loro obiettivi. Ma quando penso al purpose c’è un ulteriore elemento che a mio avviso non si deve tralasciare, ovvero il fatto di viverlo nei comportamenti quotidiani e di dare l’esempio, altrimenti si rischia che sembri falso. In azienda io per primo cerco di fare le cose con passione, di raccontare il why (siamo 2200 dipendenti in uffici decentrati e quindi raccontare il perché è indispensabile), e di portare la cultura del rispetto».

Castellini: «Vogliamo cogliere il potenziale delle persone e portarle a raggiungere gli obiettivi»

Della stessa idea è anche Vittorio Martinelli, CEO di Olympus.

«Ognuno si deve allineare come persona a quello che racconta. Sempre più le persone decidono di andare a lavorare in un posto perché condividono i valori dell’azienda e si sentono rappresentati. Ma in tal senso le organizzazioni hanno tanto lavoro da fare: sarà infatti necessario cambiare mindset per tenere in considerazione il nuovo modo di vedere e i valori che hanno le nuove generazioni, ovvero i lavoratori del futuro. Come dice Alec Ross, ex Consigliere di Stato di Barak Obama e Hillary Clinton, oggi Professore alla Business School dell’Università di Bologna: “Le nuove generazioni risolveranno tantissime cose che noi stiamo cercando di risolvere con i consulenti”. Ecco perché bisogna imparare ad adeguarsi e le aziende che non lo faranno faticheranno ad attrarre le persone. Tutto questo si rispecchia in tre aspetti che mi guidano quotidianamente: essere un coach o mentor, perché oggi per fare un mestiere come il mio è fondamentale rimanere vicino ai ragazzi; credere nella forza del network, bisogna avere il coraggio di uscire dai silos e di scardinare il mindset; aiutare le persone a ‘trovare la loro strada’, a immaginarsi dove saranno tra 5 anni e come si vedono come professionista. E poi c’è un altro elemento, che a mio avviso è fondamentale avere sempre ben presente: l’azienda non è una famiglia e deve portare anche profitto. Bisogna scegliere le persone giuste, valorizzarle, evitare di avere troppe sovrastrutture e soprattutto imparare dagli ‘errori’, perché non bisogna mai dimenticarsi che ogni fallimento si può tradurre in successo, se guardato da un opportuno punto di vista».

I capisaldi di una People Strategy efficace

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