Management

Cambiamento organizzativo: perché all’azienda serve un nuovo modello adattivo

Il mondo cambia più velocemente delle organizzazioni e la digitalizzazione è solo il primo passo di un change management adattivo. Ecco come diventare “esploratori strategici”, rifocalizzarsi sul valore per il cliente e costruire un nuovo mindset

Pubblicato il 15 Feb 2021

Michela Manini

Digital Transformation Advisor, Agile Coach -Team facilitator, SAFe 5 Cert. - Docente Universitario

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Nell’attuale contesto ambientale fortemente fluttuante i leader aziendali si trovano di fronte alla complessa sfida del cambiamento organizzativo. Il mondo sta cambiando molto più velocemente delle organizzazioni e ciò obbliga gli imprenditori a trasformare con rapidità le loro strutture per cercare di recuperare velocità di risposta alle sollecitazioni esterne. Come procedere? La digitalizzazione accelera il processo che porta ad aggiornare le tecnologie, ridisegnare le strategie e sviluppare competenze emergenti, ma non è sufficiente.

Molte aziende si definiscono “digitalizzate” dopo l’introduzione di strumenti tecnologici che agevolano i processi operativi permettendo di recuperare risorse. In realtà questo è solo il “calcio di inizio” del processo di change management. Il percorso deve permeare l’intera popolazione interna, massimizzando i punti di contatto esterni e rendendo l’organizzazione adattiva.

Adattamento al posto del controllo

Cito una frase di Jeff Bezos: «Un punto molto importante che mi preme sottolineare: noi umani ci evolviamo assieme ai nostri strumenti. Cambiano gli strumenti e gli strumenti cambiano noi: è un ciclo che si ripete».

All’interno delle organizzazioni questo pensiero si complica ulteriormente: la gran parte sono di tipo “tradizionale”, ovvero non sono pensate per adattarsi ai cambiamenti. Sono strutture gerarchiche top down che accolgono il pensiero di mantenimento dello “status quo” attraverso l’attività di predizione e controllo (la metodologia della “gestione del cambiamento”).

Rileggiamo una citazione di circa 100 anni di Albert Einstein: «Non possiamo risolvere i nostri problemi con lo stesso modo di pensare che abbiamo usato quando li abbiamo creati».

Acuta osservazione che però ad oggi pare completamente ignorata da parte dei leader aziendali che pensano di vincere la sfida modificando internamente le strutture organizzative esistenti tramite un progetto a più fasi. La realtà è che la “macchina del cambiamento” non aspetterà nessuno ed è impermeabile ai nostri sforzi di controllarlo. Quale è perciò il suggerimento per il vero cambiamento organizzativo?

L’esploratore strategico

I leader devono acquisire una nuova capacità estranea al loro DNA: devono imparare ad adattarsi (Cas Supsi “Tecnologie e metodologie innovative per sviluppare organizzazioni digitali, adattive e sostenibili). Questo diventa difficile perché gli strumenti e le practices consolidate delle aziende tradizionali non sono progettate per l’adattamento bensì per l’efficienza ed il controllo.

Occorre perciò incentrare le strategie “non sul fare le cose giuste” ma nel “ricercare la cosa giusta da fare” e svolgerla nel miglior modo possibile. Dall’attività di ricerca trae origine una nuova capacità: l’esploratore strategico. In tempi di veloci e grandi cambiamenti le strategie non possono essere pianificate, bensì ricercate.

Quando il motore della ricerca si innesta e diventa il focus strategico ecco che genera un’insieme di nuove attività, identificate quali strumenti essenziali, che supportano i leader nel tracciamento del percorso di cambiamento organizzativo.

Cambiamento organizzativo: la sfida dei processi aziendali

L’attività di “esplorazione”  deve fare i conti però con i “processi aziendali” che ad oggi possiamo suddividere in:

  • Processi convenzionali /analitici – focus nei numeri estratti da contesti lineari.
  • Processi “emergenti” – fulcro nelle persone.

Essendo i processi analitici ormai in fase di parziale invalidazione (non sono più supportati da comportamenti lineari), l’impatto è rivolto e sostenuto dai processi emergenti che sono configurati per raccogliere idee e intuizioni e creare modelli di Business innovativi (Framework O.A.S.I.S. Massimo Mistretta 2020).

Questo nuovo scenario richiede l’applicazione di un approccio olistico: le aziende devono essere rapide ad aggregare l’intelligenza collettiva dei propri dipendenti, clienti e stakeholder per poter trarre valore immediato. Dall’intelligenza collettiva, raccolta ed amplificata con l’aiuto di strumenti (orchestrator platform, come Exentriq.com), si facilita la comunicazione e l’incontro di idee da cui nascono nuovi modi di fronteggiare i problemi.

Per mantenere il loro vantaggio competitivo, i leader devono valutare l’adattabilità rispetto all’efficienza e diventare high skill-oriented nelle attività di esplorazione (discovery). E, soprattutto, ricordare che non c’è niente di più inutile che fare la cosa sbagliata nel modo giusto.

Nuovo mindset per People e Finance

Parallelamente ai due diversi tipi di processi, la svolta di successo di un cambiamento organizzativo abilitato dalla tecnologia è il cambiamento di mentalità in due ambiti: People e Finance.

Cambiare mentalità è più facile a dirsi che a farsi. Il comportamento naturale umano è quello di apprendere e costruire sui buoni risultati precedenti. Questo sviluppa una cultura radicata di “questo è il modo in cui lavoriamo qui” che declina processi aziendali, influenza il modo in cui le persone vengono assunte e formate, definisce come il successo viene misurato e le persone vengono premiate.

Alla maggior parte delle persone non piace il cambiamento; piace invece sapere dove si trovano e avere conforto dalla certezza di come aggiungono valore.

Allo stesso modo, la performance finanziaria è fondamentale per tutte le organizzazioni: esprime lo stato di salute dell’azienda, la sua situazione economica, patrimoniale e rassicura gli stakeholder. Anche in questo caso la valutazione delle performance aziendali consente di conoscere ed interpretare la gestione passata, ma oggi evidenzia difficoltà nel delineare una visione prospettica a causa dei comportamenti non lineari.

Possiamo dichiarare che gli anticorpi organizzativi verso un’attività di change management risiedono e sono maggiormente radicati nelle aree che proteggono e salvaguardano le due risorse più preziose di un’organizzazione: le finanze e le persone.

Il flusso di valore: come cambiano i team

Come è necessario procedere quindi per iniziare il processo di cambiamento di questa roccaforte aziendale? Occorre spostare l’attenzione su ciò che il mercato premia: il valore per il cliente. Concentrarsi sul valore erogato e iniziare a misurarlo/monitoralo per una ricerca continua di miglioramento ed eccellenza.

Si tratta di passare da un modo di pensare a “progetto” ad una visione di “flusso di valore”. È un cambiamento di mentalità importante e per nulla semplice da implementare, ma il punto di osservazione inizia nell’indurre “finanza e persone” a considerare insieme l’investimento necessario per aumentare il valore al cliente.

In questo modo anche i team operativi e decisionali vedrebbero accomunato l’obiettivo e si creerebbe un mood collaborativo eliminando inutili contrasti. Il focus si sposterebbe sull’elaborazione di nuove idee di maggior efficacia per generare più valore per il cliente.

Questo nuovo “modus operandi” si agevola attraverso la costituzione di piccoli gruppi di lavoro interfunzionali, associati ai diversi flussi di valore identificati, che incoraggiano un’elevata efficienza attraverso l’eliminazione dei passaggi da una divisione all’altra. Da ciò deriva:

  • una rimozione di “code” di approvazione (modello organizzativo basato sulla responsabilità diffusa – il team ha potere decisionale);
  • un sano risparmio di risorse (economiche e non);
  • un consolidamento dei team di lavoro attraverso lo sviluppo della capacità di scambio relazionale che genera modelli di lavoro di alte prestazioni
  • e, soprattutto, il conferimento di quella velocità necessaria per essere reattivi alle sollecitazioni esterne.

L’importanza di adattare il mindset

Un’ultima considerazione (ultima non per importanza) deve essere dedicata al luogo di lavoro: fisico o a distanza. In questi tempi di pandemia è stato scritto parecchio in merito alla modalità di lavoro che ha costretto la maggior parte delle aziende a smart working, telelavoro, remote working, eccetera. Il luogo di lavoro è parte integrante del valore generato e perciò merita la giusta attenzione soprattutto in organizzazioni in cui convivono più generazioni e mindset differenti.

Il problema non è però tanto il gap generazionale: da recenti sondaggi emerge che il 65% dei lavori futuri non è ancora stato creato, perciò tutti hanno la possibilità di cogliere le opportunità future. Più importante sapere cambiare mindset e questo dipende dalla volontà di farlo e dalla capacità delle aziende di “adattare” un sistema che possa accogliere e agevolare il cambiamento.

Mi piace riportare in finale la tesi di Leon Megginson di ispirazione Darwiniana:Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, bensì quella più adattabile al cambiamento”.

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